
“Lo spacciatore di emozioni” è il nuovo Ep di Ferdinando Riontino, cantautore pugliese classe 1991. Anticipato dal singolo “Penso ad alta voce”, l’Ep ha una dose di follia, una dose di allegria tagliata con la malinconia.
«Una provocazione per attirare l’attenzione, creare una reazione, è un invito a soffermarsi sulle emozioni e sulla parola – racconta Ferdinando Riontino -. Mi piacerebbe che la mia musica fosse attivatrice di una particolare dipendenza: quella del contatto con le proprie emozioni». Una dipendenza, per l’artista, che significa «verità» e che troppo spesso, ormai, «sostituiamo con evasioni tecnologiche».
La copertina dell’Ep è opera di Lillo Petrolo, che, innamoratosi del progetto, ha deciso di contribuire attraverso la sua creatività. È un ritratto di Ferdinando Riontino attraverso gli occhi di Lillo: la foto segnaletica di un cantautore il cui crimine è quello di spacciare emozioni.

Ciao Ferdinando! Chi è “Lo spacciatore di emozioni?”
Il progetto nasce inizialmente come un album di otto brani e aveva un altro titolo inizialmente. Alla fine abbiamo deciso di pubblicare un EP di quattro brani, dovevo cercare un titolo nuovo. Nel frattempo mi travestivo da trapper in una trasmissione e come nome proprio “lo spacciatore di emozioni”. Per questo ho chiamato il mio lavoro in questo modo.
Nell’EP ci sono brani rock, reggae e pop. Come lo descriveresti a livello musicale?
Ho fatto un percorso abbastanza lungo e particolare perché ho incontrato vari produttori e questo si sente. “Occhi come i tuoi” è più strumentale ed è prodotta da Luca Carocci. Otto musicisti hanno suonato live, in uno studio ad Acquapendente. Gli altri tre brani sono più moderni, più giovani. Nascono dall’incontro con Matteo Costanzo. Io ho due anime, quella rock e quella cantautorale, non ho ancora capito bene quale è più forte. Forse quella rock.
Il primo brano estratto è “Penso ad alta voce”. È autobiografico?
“Pensa ad alta voce” è un gioco nonsense. La canzone in realtà non significa niente, volevo ridere da solo, è nata per giocare con le parole e non ha un significato specifico.
“Mi piacerebbe che la mia musica attivasse una dipendenza, che significa verità e che troppo spesso sostituiamo con evasioni tecnologiche”. In che senso? Che rapporto hai con i social?
Noto che non c’è tanta umanità in giro, non c’è una predisposizione all’ascolto tra i ragazzi. Cioè se vuoi parlare di cinema, di un libro con un ragazzo, l’attenzione dura 15 secondi come una storia Instagram. Io scendevo giù al bar con le mie amiche e chiacchieravo davanti a una birra, ora sento che questo non c’è, tutti stanno vicino al cellulare, anche mio padre. Nel mio ultimo lavoro (“Sotto il sole”) avevo addirittura il social media manager. Ma io non mi trovo bene con i social, non mi rappresentano.

Come nasce la copertina e il tuo rapporto con Lillo?
Io ho pensato a questo album come un vinile, sono un nostalgico. L’ispirazione l’ho presa dalle copertina degli album di Vecchioni disegnati da Andrea Pazienza, ecco avevo pensato a un lavoro simile. L’idea nasce da una escape room dove mi fecero una specie di foto segnaletica e la mandai a Lillo. E lui ci ha messo del suo, è stato bravissimo. Lillo l’ho conosciuto a Taormina, ogni tanto ci sentiamo.
Porterai le canzoni dell’EP in tour?
Certo! Io faccio tutto questo per stare sul palco.
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