
Dal 22 al 26 novembre arriva l’ottava edizione del Linecheck – Music Meeting and Festival: cinque giorni di eventi, dedicati a professionisti e music lovers al Base Milano con l’obiettivo di mettere al centro il mercato e la filiera musicale: tra le novità ci saranno show all’Auditorium San Fedele e nella Capsula.
Il tema principale del festival sarà #INEXILE, un concetto ampio che racchiude in sé l’idea della distanza fisica dalla propria patria e la libertà di muoversi verso nuove mete. Dino Lupelli, General Manger di Music Innovation Hub e direttore del Linecheck, ci racconta come sarà questa nuova edizione del festival!
Il programma completo è disponibile al seguente link.

Ciao Dino! Linecheck torna per la sua ottava edizione dal 22 al 26 novembre. Come il titolo “In Exile”?
Il titolo “In Exile” è stato scelto l’ultima sera del Linecheck 2021, è venuto fuori in maniera emotiva. Dopo due anni di pandemia c’era una sensazione di esclusione dalla realtà e volevamo raccontare cosa significa impegnarsi all’interno del settore musicale in un contesto storico come questo. “Esilio” è un termine polisemantico: ha il significato angosciante che conosciamo tutti però ne ha anche uno positivo, quello dell’esilio creativo. Una sensazione che spesso l’artista ha per potersi concentrare sulla creazione dell’arte. La musica è un modo per isolarsi ma anche per socializzare. Noi giochiamo sull’ambiguità di questo termine.
Ma come nasce l’edizione 2022 Linecheck? È un lavoro continuo durante tutto l’anno?
Linecheck è un lavoro corale e dura tutto l’anno. Abbiamo diverse persone che si occupano della manifestazione. Lavoriamo su tutte le tematiche dell’innovazione sociale e tecnologica. Una quindicina di persone lavorano fisse a questa manifestazione e ci sono curatori delle diverse sessioni per un centinaio di contenuti. Ci relazioniamo tutti, abbiamo un incontro settimanale di aggiornamento.
Questa ottava edizione presenta due novità: l’Auditorium San Fedele e la Capsula.
Abbiamo sempre avuto attività che si svolgevano fuori. Oggi una delle tematiche più nuove è quella della spazializzazione del suono, l’Auditorium San Fedele è uno dei pochi spazi al mondo che ha un acuismonium al suo interno e la Capsula è uno dei pochi studi di performance/registrazione che ha un impianto di suono immersivo all’interno. In più Linecheck proporrà una formula originale: gli showcase diurni suonati in una maniera nuova.
Pensate anche a un lavoro sull’hinterland milanese?
L’obiettivo di Linecheck è fare un passo alla volta. Vogliamo creare un polo sull’innovazione, non tanto una dimensione divulgativa al grande pubblico. Nel 2021 abbiamo fatto concerti a Madrid, Parigi, Amburgo, Londra, tutti in contemporanea con Milano. Ogni anno sviluppiamo delle formule, non è la nostra mission diventare un festival di 100.000 persone, lo è invece quella di costruire una comunità di addetti ai lavori e music lovers che possano portare avanti il discorso generale sulla musica. Il nostro scopo è creare connessioni tra l’industria italiana e quella internazionale e creare opportunità per gli artisti italiani di confrontarsi con l’industria italiana.
Il periodo scelto è sempre quello di novembre, come mai?
L’agenda delle music conference è ristretta e ci sviluppiamo nel mese di novembre. In estate ad esempio non avremmo la capacità di attirare gli organizzatori di festival che ci sono in giro. Ci siamo posizionati in questo periodo guardando l’agenda internazionale: Linecheck parla in inglese perché è un progetto internazionale naturalmente. Il fenomeno delle music conference è globale, ogni paese ne ha due o tre all’anno, è difficile trovare la settimana in cui la gente viene a seguirti.
Perché Milano?
A dir la verità le music conference in realtà hanno più fortuna se sono fuori dai grandi centri urbani. Milano è importante per l’industria musicale e abbiamo trovato dei partner: il Comune di Milano ci supporta fin dall’inizio, Base ci viene concesso. Dopo 8 anni si è aggiunto anche il supporto del Ministero della Cultura e dell’Unione Europea, quest’anno il dato significativo è dato dagli investitori della filiera musicale (aziende) perché riconoscono Linecheck come una piazza importante per i loro affari.
Non avete mai pensato di spostarvi in qualche altra città o creare un altro Linecheck parallelo?
Tutto è possibile. In base alle condizioni. Ad esempio Roma ha bisogno di un momento come quello di Linecheck per tornare a essere un punto di riferimento della filiera musicale come lo era negli anni ’90. Ma devono esserci le condizioni, al momento siamo qui e vediamo cosa succede.
Come vedi il Linecheck tra 10 anni?
Spero possa avere un riconoscimento istituzionale ancora più importante. Mi auguro che diventi lo specchio di una filiera. Deve ancora riuscire ad affermarsi davanti alla politica come un ecosistema importante.
Secondo te perché in Italia non c’è un festival come all’estero? Glastonbury, Primavera Sound…
In realtà i grossi festival in Italia si cominciano a vedere: Firenze Rocks, Nameless, Kappafuturfestival e tanti altri. Ma il modello di business della musica in Italia dal vivo è diverso da quello di altri paesi, noi abbiamo un mercato autoreferenziale: nelle classifiche gli italiani consumano prettamente musica italiana. A Glastonbury per esempio il 70% sono artisti inglesi ed è nato in un territorio dove la gente il weekend va a fare picnic nei prati. Però la vera domanda è: ma è necessario davvero aspettare il prossimo Glastonbury? L’impatto ecologico di una manifestazione come quella è da mani nei capelli. Ma non è detto che quella sia la dimensione giusta, magari è preferibile avere situazioni più piccole con una grande qualità di offerta musicale e dell’esperienza. Penso al Jazz:Re:Found, al VIVA!, allo Spring Attitude che ti offrono la possibilità di vivere un concerto nel miglior modo. Forse è il formato che meglio si adatta al nostro territorio e che dobbiamo imparare a tutelare di più. Bisogna diventare orgogliosi di un format che ha un impatto meno gravoso sull’ambiente, è più gestibile e più legato al territorio. Magari dobbiamo valorizzare quelli e non creare nuovi mostri.

Secondo te quindi queste grandi manifestazioni spariranno?
Teniamo a mente alcuni dati. In un report di UK Music si dichiara come il pubblico va alle grandi manifestazioni in una fascia di età giovane (18-24 anni) mentre i trentenni cercano festival di dimensioni più piccole. Non domandiamoci perché non abbiamo Glastonbury o il Primavera Sound ma cominciamo a raccontare quelli che abbiamo in Italia. Il motivo per cui i grandi festival in Italia non si sono mai stabilizzati è numerico, gli italiani vogliono sentire musica italiana; ma esistono anche motivi culturali, già nel 1800 in Inghilterra si facevano i festival spontanei. In Italia c’è più varietà, il futuro è il boutique festival: dagli studi di Cinecittà al festival in mezzo agli ulivi… noi dobbiamo imparare ad attirare pubblico internazionale nei nostri festival. Nel Primavera Sound più del 70% del pubblico non è spagnolo.
Quindi il segreto è unire musica e territorio?
Assolutamente. Musica ed esperienza del territorio come Ypsigrock, che è uno dei più noti all’estero. Più festival a misura d’uomo e sostenibili dal punto di vista ambientale.