Luca Castelli: “Per I Radiohead Non Esiste Comfort Zone: Vi Guido ‘Nel Labirinto’ Di Thom Yorke”

Luca Castelli ci guida nell’universo di Thom Yorke e dei Radiohead attraverso il suo ultimo libro “Nel Labirinto”, edito da Sperling & Kupfer. Il giornalista, musica e cultura al Corriere della Sera di Torino, parte dal videogioco “Kid A Mnesia: Exhibition” con cui i Radiohead hanno celebrato il ventennale degli album “Kid A” e “Amnesiac” per un pedinamento che passa dalle strade di Oxford a Glastonbury, da “Creep” a Suspiria, da “OK Computer” agli arcobaleni di “In Rainbows” fino i chiaroscuri di “A Moon Shaped Pool” e i The Smile.

“Nel Labirinto” ricostruisce il percorso di uno dei più carismatici, geniali, mutevoli e inafferrabili protagonisti della musica degli ultimi trent’anni e racconta l’incredibile avventura della sua band, i Radiohead, che ha cambiato la vita di milioni di persone. Il libro è acquistabile in libreria e su Sperling.it, IBS, Feltrinelli e Amazon.

Ecco l’intervista a Luca Castelli!

Come nasce l’idea del libro? Perché proprio i Radiohead?
L’idea nasce dall’editore Sperling & Kupfer che voleva un libro su Thom Yorke, io seguo i Radiohead dagli anni ’90 e ho già scritto tanto su di loro. Ci siamo sentiti e avevo un’idea precisa ma ha preso poi direzioni diverse. L’idea originale era legata al video di “Daydreaming” (canzone tratta da “A Moon Shaped Pool”) e mi piaceva molto l’idea di passare attraverso le porte, l’interdimensionalità, che ben rappresenta Yorke. Poi è uscito il videogioco e lì sono rimasto folgorato e l’idea originale ha preso più la forma ‘labirintica’.

I corsivi all’inizio di ogni capitolo cosa significano?
È un’altra dimensione. Non volevo scrivere il classico libro in terza persona perché Thom Yorke ha davvero più dimensioni di lettura: del sogno, del gioco, della ricerca e del suscitare nell’ascoltatore reazioni particolari. Quindi i corsivi sono le mie reazioni alla musica dell’artista, la mia parte più personale.

Il libro raccoglie tante interviste (da Q a NME), quando hai iniziato a raccoglierle?
L’idea del libro è dell’estate 2021, abbastanza recente. Da allora ho iniziato la ricerca del materiale e ho iniziato ad avere le prime grandi sorprese: al di là del materiale discografico è stato interessante scoprire miniere di materiale bibliografico sui Radiohead. Tanti libri sulla tecnica e sulla filosofia del gruppo ma più interessante è stato trovare i siti dei fan con archivi sconfinati di materiale. Tutte le interviste citate nel libro le ho trovate online. Sai, i Radiohead hanno quella tipologia di fan vicino ai fan dei Beatles che sono di una meticolosità formidabile, davvero enciclopedici. Sul sito tedesco Citizen Insane ho trovato gran parte delle interviste storiche cartacee, interi archivi su YouTube e poi da un paio d’anni si è aggiunto il sito ufficiale Radiohead Public Library dove loro mettono tonnellate di materiale. Rispetto ai Pearl Jam però loro hanno un approccio più da “curatori”, non mettono tutto sul sito ma fanno una selezione piuttosto attenta.

Qualche tempo fa ho intervistato Andrea Morandi per il libro biografico su The Edge e ho trovato tante similitudini tra U2 e Radiohead: dalle scuole superiori a diverse tappe della carriera. Cosa ne pensi?
Nel rapporto tra U2 e Radiohead c’è la scuola, che è una coincidenza. Due grandi band nate in un liceo e sono rimasti quelli. Per un lungo periodo degli anni ’90 poi Thom Yorke e compagni sono stati visti come i nuovi U2 sia da qualche punto di vista musicale ma ancor di più per l’idea della più grande band del pianeta. Alla fine degli anni ’90, dopo la crisi di “Ok Computer” si rifiutano di seguire il cammino degli U2 e fanno i conservatori: frenano, pubblicano un disco difficile come “Kid A”, non vogliono arrivare agli stadi (dove poi invece arriveranno). Nel 2000 Bono e co. invece pubblicano “All That You Can’t Leave Behind” che è l’album conservatore dopo gli esperimenti degli anni ’90. Per i Radiohead la comfort zone non esiste e non c’è nemmeno nei The Smile.

The Smile, Atoms For Peace, i dischi da solista…secondo te sono degli escamotage per ritrovare l’ispirazione per i Radiohead o semplicemente vogliono fare quello in quello specifico momento?
Credo che il Thom Yorke degli ultimi anni non viva più in funzione prioritaria per i Radiohead ma fa quello che gli va di fare. Non si sa quando ci sarà il decimo album dei Radiohead, l’ultimo è stato “A Moon Shaped Pool” nel 2016. “Quando e se sarà il tempo giusto si ritroveranno”, loro hanno detto così in diverse interviste.

Ma senza la pandemia sarebbe nati gli Smile secondo te?
Dalle poche interviste sembrano uno sfogo pandemico. Ma l’idea che Yorke e Greenwood complottassero di fare qualcosa insieme emergeva già nel decennio scorso ed è abbastanza sintomatico il concerto allo Sferisterio di Macerata nel 2017 per i fondi del terremoto.

La relazione di 23 anni con la precedente compagna Rachel Owen ha avuto influenza nei brani successivi?
“Daydreaming” è una delle poche canzoni nuove di “A Moon Shaped Pool” che invece contiene molte canzoni già sentite. Ed è una canzone che secondo i fan ha un significato particolare: le 23 porte stanno a significare i 23 anni di relazione con Rachel, il disco è uscito a metà tra l’annuncio della separazione e la data della morte di lei. Yorke non ha quasi concesso interviste sul disco. I legami sono evidenti e così anche nel primo disco solista “Tomorrow’s Modern Boxes” del 2014. Qualcosa c’è. “True Love Waits” ha gli stessi anni della relazione e c’è quel “Just Don’t Leave” che è facile legarlo alla storia d’amore.
Thom ha sempre cercato di schermarsi dalle interviste ruvide ma i fan inevitabilmente vanno a cercare collegamenti: nel libro c’è un capitolo legato a questo rapporto.

Nel 2023 sono i 30 del primo disco, “Pablo Honey”…
Sì. E i 30 ufficiali dal primo EP “Drill” invece sono quest’anno. “Pablo Honey” non è un album che però loro ricordino con passione, non credo faranno qualcosa… Il 2023 sono anche i vent’anni di “Hail To The Thief” che ha delle tematiche che sarebbe interessante vederli riesplorare temi come l’ecologia e la politica…

A quando risale il tuo primo ricordo sui Radiohead? E il tuo primo concerto?
Il primo vero ricordo è del ’95 probabilmente su “The Bends”, avevo letto un articolo su Rockstar, in una biblioteca di Alpignano, un paesino vicino Torino. Anni dopo lo stesso articolo l’ho trovato sul sito tedesco Citizen Insane scannerizzato e mi ha fatto un grande effetto…
Il primo concerto invece è stato quello del tour di “Ok Computer” nel ’97 al Palavobis, ricordo pochissimo ma poi li ho rivisti tante volte: al Lazzaretto di Bergamo, a Milano, al Primavera Sound di Barcellona…


“In principio volevo essere Brian May” diceva Thom Yorke nel ’93. A chi si avvicina invece oggi?
Era un innamoramento più da rockstar, lo aveva visto in tv a 8 anni, la primissima scintilla. Yorke è imparagonabile, ha avuto parti della vita in cui somigliava più a Bono o a Aphex Twin ma oggi è solo Thom Yorke.

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