Caparezza, Uno e Centomila: “Exuvia” Un Rito Di Passaggio

A UN PASSO DAL CAPOLAVORO
Caparezza abbandona le sicurezze per far pace col passato, mitigare il presente e progettare il futuro. In un’opera magna che, neanche a dirlo, è l’ennesimo colpo di genio di un Maestro del caos.
Michele Salvemini è l’Eternauta della quinta arte (o il Frank Zappa dell’hip hop). Metamorfico e teatrale, sempre in cerca di nuovi stimoli come di una collocazione geografica, ha ormai trasceso il rap e lo spazio propriamente detti. E si attesta lì lì fra il genio e il fantasista.. se la metrica fosse un centrocampo, calcato a passi di poesia lirica.
Portando avanti in silenzio la lotta coi suoi demoni (e gli si augura in controfase con la maledizione dell’acufene), il 7 maggio il Bardo di Molfetta ha pubblicato “Exuvia”, sua ottava creazione divenuta subito il disco digitale e fisico (compreso di vinile) più venduto della settimana.

Flow ed elettronica, archi e didgeridoo, frasi nascoste e campionamenti del suo battito cardiaco ripercorrono il passato di un Capa ormai fuggiasco, diretto verso l’ignoto dopo un’evasione dalla prigionia mentale. L’album precedente, “Prisoner 709”, parlava proprio di questo.
Ad attenderlo, il grottesco di una selva che, al contrario di quella dantesca, non è poi così oscura..

UN PO’ DI STORIA
Vent’anni son passati dall’esordio in cui svestì i panni di Mikimix e indossò quelli di Caparezza (“testa riccia” in molfettese). All’epoca più acerbo e scapigliato, già in “?!” si intuiva che la sua musica non si esaurisse coi “singoli” (sebbene già esplosivi come “Tutto ciò che c’è” o “La fitta sassaiola dell’ingiuria”), ma che fosse comprensibile solo attraversando il disco nella sua interezza. Fu però con “Le dimensioni del mio caos”, quarto album in studio e primo “fonoromanzo” della storia, che l’idea del concept album giunse pienamente a compimento.

Da sempre dominato dal suo mondo interiore e a 13 anni dal quarto disco, Michele ha ormai 47 anni e si augura di completare la parabola che, in parallelo coi dischi, faccia evolvere anche i concetti: <<I miei sono tutti concept album, ma Exuvia è il più cinematografico. Mentre lo realizzavo ho pensato che potesse essere il secondo capitolo di una trilogia: prigionia, fuga e poi libertà>>. Nasce così “Canthology”, che in 3 minuti e 49 ripercorre tutta la sua antologia discografica; o la stilosissima “Fugadà”, che con bassi da subwoofer rianima gli echi moombahton della jungle R&B di “No Church In The Wild”, seppur con una vena arabeggiante che incide sull’immaginario di un Capa disperso per le strade di Marrakech. Traslando l’ambientazione dal Nordafrica al Sudamerica, ci si addentra nel camino del “Sendero”, omaggio onirico alle sonorità andine e messicane, quanto alle difficoltà delle traversate dei migranti di ogni epoca.

“Questo ottavo disco è stato più difficile del secondo. L’Exuvia è la muta degli insetti. Un calco perfetto di una fase superata. La mia exuvia è dunque un rito di passaggio in 14 brani, immaginando un viaggio espiatorio nella foresta (da sempre luogo di ispirazione letteraria): la prigione è alle mie spalle e la foresta è davanti a me, pronta ad accogliermi”

Ecco quindi che dai campionamenti di Van Persie sorge “Campione dei Novanta”, in cui si limita a uno sguardo impassibile sul suo passato di Mikimix (forse l’exuvia più plateale della sua vita artistica): <<Nel mio nuovo mondo non ho niente contro quel ragazzo di vent’anni che faceva brani rap che oggi si incastonerebbero bene nel panorama musicale>> Stesso concetto espresso in “Azzera Pace” – leggi “E Caparezza” a rovescio – che vede nella frase “Non sopporto vedere Scarface come modello di vita” la sua sintesi contro gli egotrip e l’ignoranza della celebrazione giovanile della malavita.

Stilisticamente, l’LP va oltre il rock arrivando a sfiorare le vette dell’heavy e della wave. Intrinsecamente, è un progetto intimo e pregno d’apprensione per il futuro. 14 brani dal groove pazzesco in cui convivono le mille anime amare di Caparezza, addensate in un complesso di letteratura, cinema e musica, insomma uno dei lavori più ambiziosi della sua carriera: in “Come Pripyat” ad esempio, il racconto si fa radiazione di fondo elettronica, narrando la sensazione di continua scomodità nel cambiamento di questi anni. Con una hit simile a una “Starboy” di The Weeknd e Daft Punk, proiettata in una puntata di Love, Death & Robots

“La scelta” invece parla della difficoltà di trovare un equilibrio fra carriera e famiglia, in un rimando Einaudiano che ripartisce fra Beethoven e Mark Hollis dei Talk Talk queste due nature.

Volendole trovare un difetto, “Exuvia” pecca nell’ingenuità di essere dissonante quando non serve (alcuni ritornelli compresi), e cupa quando non deve (per sua stessa ammissione). <<Quando Fellini ha iniziato a girare 8 e ½, ha attaccato sulla cinepresa un foglio: ‘Ricordati che è un film comico’. Mi sono prefissato fin da subito di fare un disco allegro perché volevo andare controcorrente rispetto a Prisoner>>.

E pensa se non lo facevi, Miché!
Ma l’obiettivo disatteso non toglie molto alla munificenza di un Artista dai mille volti che, come il dio degli abitanti di Braavos, si finge spesso nessuno per poi essere uno e centomila.
<<Non voglio più considerarmi Caparezza, voglio che questo disco sia di un altro artista>>
Anche a considerarlo un altro, si avvertirebbe nell’assenza di equilibrio una mancanza che appesantisce il magone di cui tutti ci siam già fatti carico in questi anni. E l’eccesso di disincanto non può mai giovare alla metamorfosi. Ma anche solo essere Caparezza è un motivo di vanto, di cui lui per primo dovrebbe prendere atto.

E che prima o poi verrà studiato negli atenei come esempio di eccellenza.

VOTO: 9

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