CAPAREZZA: la recensione di Prisoner 709 (2017)

NOME

Caparezza

GENERE

Rock/Rap

ESORDIO

?! (2000)

ULTIMO ALBUM

Prisoner 709 (2017)

COPERTINA

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ELENCO CANZONI

Prosopagnosia (Il reato – Michele o Caparezza) (con John De Leo)
Prisoner 709 (La pena – Compact o streaming)
La caduta di Atlante (Il peso – Sopruso o giustizia)
Forever Jung (Lo psicologo – Guarire o ammalarsi) (con DMC)
Confusianesimo (Il conforto – Ragione o religione)
Il testo che avrei voluto scrivere (La lettera – Romanzo o biografia)
Una chiave (Il colloquio – Aprirsi o chiudersi)
Ti fa stare bene (L’ora d’aria – Frivolo o impegnato)
Migliora la tua memoria con un click (Il flashback – Ricorda o dimentica) (con Max Gazzè)
Larsen (La tortura – Perdono o punizione)
Sogno di potere (La rivolta – Servire o comandare)
L’uomo che premette (La guardia – Innocuo o criminale)
Minimoog (L’infermeria – Graffio o cicatrice) (con John De Leo)
L’infinto (La finestra – Persone o programmi)
Autoipnotica (L’evasione – Fuggire o ritornare)
Prosopagno sia! (La latitanza – Libertà o prigionia)

 

VIDEO/SINGOLI DALL’ALBUM

 


PUNTO DI VISTA

Quando si parla di Caparezza non si sa mai se ci si stia riferendo ad un singolo genere musicale o ad una mistura di categorie: è un insieme di heavy, rock e rapcore o un rapper a sé stante che ha trasceso le barriere della sua disciplina ormai da molto tempo? Si tratta di semplice hip hop o di una composizione artistica dalle metriche geniali e forbite?

Anche perché se esuliamo Michele Salvemini dal contesto della musica rap, sappiamo per certo che rimangono ben pochi esponenti degni di portare avanti la fiaccola del genere hip hop senza ausili di autotune o basi strumentali anoressiche votate all’auto decomposizione melodica. Di certo ancor meno sono quelli in grado di tenere testa alle sue liriche (a noi forse viene in mente Kaos One, ma lanciamo la palla anche a voi lettori).

Quello che noi sappiamo di certo, è che il nuovo album dell’Artista, tematico e visionario oltre che concettuale, si apre con una netta dichiarazione d’intenti: dalla prigione e dalla claustrofobia che essa può generare bisogna evadere come nei migliori brani dei Subsonica, superando la dismorfofobia musicale (“Non mi riconosco più, prosopagnosia”, dice proprio il brano che fa da incipit all’LP) e compiendo un “ulteriore passo” avanti: quello dell’elevazione tramite testimonianza ed accettazione. Per poter convivere coi propri piccoli demoni casalinghi.

L’album frutto di una profonda crisi interiore del rapper è infatti incentrato sulla tematica dell’ingabbiamento all’interno della propria “prigione mentale”, a seguito di vicissitudini personali e momenti di fitta autocritica, e sul profondo desiderio di trovare una chiave di fuga. È un album dualistico che affronta la dicotomia dell’identità musicale dell’Artista e il bipolarismo apparente che certi disturbi fisici possono arrecare alla mente delle persone. Ma è anche un totem e un “esorcismo di stile” che cristallizza il disagio in un lasso di tempo che Michele stesso dice ormai superato.

Il pretesto che collega superficialmente i brani è l’acufene, disturbo che ha colpito il cantante nel 2015 e che lo ha di certo influenzato nella realizzazione dell’album stesso, ma che da allora inesorabilmente accompagna il nostro in tutti i giorni della sua vita. Al punto da portarlo a ironizzare sull’argomento, domandandosi: “sarò in grado di sopportare un fischio costante che mi farà calare l’autostima.. perché quando la gente applaudirà io starò comunque a sentire i fischi?”

Qualitativamente, Prisoner 709 presenta sonorità molto più vicine al rap e al rock e tematiche più intimistiche e riflessive rispetto ai sei passati lavori del maestro di Molfetta, pur mantenendo intatta la cifra stilistica a cui ci ha abituati. È senza ombra di dubbio un disco di ampio respiro ed elevato livello, ricco di grandi collaborazioni artistiche e studio del suono che già incontra il favore della critica delle principali testate musicali italiane.

Quantitativamente, molte sono le tracce che meritano più di un semplice ascolto, spesso costruite con un utilizzo assennatamente smodato di compressori, tastiere e synth come non se ne sentivano da Le dimensioni del mio caos: La caduta di Atlante, Forever Jung, Una Chiave, Ti fa stare bene, Migliora la tua memoria con un click, Larsen, L’infinito e Prosopagno Sia! sono tutti brani che non si limitano a parlare di auto analisi, a sottolineare l’importanza della linea del basso nei lavori del genio pugliese (un plauso al musicista Giovanni Astorino è d’obbligo) o della ricerca, spirituale prima ancora che musicale, fra esoterismo e religione, qui rappresentati numerologicamente dal 7 e il 9.

Registrato tra Molfetta e Los Angeles insieme a Chris Lord-Alge, si tratta di un concept album composto da sedici brani, che analizzano la condizione di “stretta al collo” di chi a 40 anni realizza di aver consacrato tutta la propria vita alla musica, non lasciando spazio ai secondi di dubbio che invece, fermandosi per riprendere fiato ed osservare la strada percorsa, erompono inattesi come un fischio all’orecchio. Molto meno impegnato a livello politico del passato ma sempre incredibilmente avanti per originalità di temi, qualità compositiva e brillantezza di metriche, questo sofisticato mélange di sonorità ed umori contrastanti si risolve in qualcosa che somiglia a una catarsi cosmica, scortata a braccetto dal tipico calembour teatrale di citazioni e personaggi che vanno dai rudimenti scolastici alle icone della street art, dalla poesia di Rodari e Leopardi allo showbiz americano.

Cosa manca in questo quadro d’insieme già di per sé fittissimo?
Forse solo di suggellare la cornice con altrettante sorprendenti collaborazioni che si legano alla magia della musica come un contrappunto, come quella col personaggio che a 13 anni lo fece innamorare del rap e subito empatizzare con questa forma d’arte (Darryl McDaniels dei Run DMC), quella col maestro della polifonia canora “post-StratosJohn De Leo (leader dei meravigliosi Quintorigo) e quella col poeta del cantautorato moderno Max Gazzè. Una piccola perla destinata a rimanere in un deserto musicale popolato da testimoni (più che rapper) di un periodo di fulgore modaiolo che, presto o tardi, andrà estinguendo per sempre la sua fiamma.

“Non è vero che non sei capace…che non c’è una chiave”

VOTO: 8,5

Gianluca Ricotta

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