EMINEM: la recensione di “Kamikaze” (2018)

NOME

Eminem

GENERE

Rap/Hip-Hop

ESORDIO

Infinite (1996)

ULTIMO ALBUM

Kamikaze (2018)

COPERTINA

Eminem cover copertina "Kamikaze" album

ELENCO CANZONI

The Ringer
Greatest
Lucky You (feat. Joyner Lucas)
Paul – Skit
Normal
Em Calls Paul – SKit
Spetting Stone
Not Alike (feat. Royce Da 5’9)
Kamikaze
Fall
Nice Guy (feat. Jessie Reyez)
Good Guy (feat. Jessie Reyez)
Venom

VIDEO/SINGOLI DALL’ALBUM

 

PUNTO DI VISTA

Eminem torna a fare Eminem, ma senza fare nulla di davvero memorabile”
“Durante tutti i suoi 10 album, più cose cambiano, più Mothers rimane uguale”

Testi e beat rimasti ancora a un passato glorioso. Ma l’hip-hop continua a guardare avanti”
“È il Rap God, ma dice le stesse cose che tutte le persone di mezza età dicono a proposito delle nuove generazioni”

Mentre la destrezza verbale di Eminem è rimasta intatta, le sue mancanze sono diventate sempre più lampanti”

C’è un solo ‘re delle controversie’. Un solo nome sulla bocca di tutti, un solo animale da palco: il suo nome è Eminem (pseudonimo di Marshall Mothers) rapper di St. Joe cresciuto a Detroit, largamente considerato il più grande artista bianco della scena hip hop. Fra i più prolifici rimatori della storia moderna (da Shakespeare a Rakim, e non stiamo affatto pontificando) e i più dotati freestyler di sempre, l’MC del Missouri non ha mai smesso di far parlare di sé.

Anche oggi. Ancora una volta, il prestigiatore non-biondo ha incantato il suo pubblico tornando alla ribalta con un album magistrale e volutamente vintage, analogico, in controtendenza rispetto alle mode contemporanee di un genere ormai evoluto. Col preciso scopo di riaccendere i dibattiti e sottolineare come, mentre sull’east coast sia Jay Z a regnare, nel Midwest sia ancora lui a portare la corona.
L’LP fresco di fine agosto conta 13 tracce, è già nr. 1 Billboard con le sue 434.000 copie vendute (raddoppiando i numeri dello scorso “Revival“) ed il suo nono a salire nella classifica Billboard 200 (al pari dei Rolling Stones). Questo lo rende il sesto artista nella storia delle vendite fulminee (dopo Beatles, Jay-Z, Springsteen, Streisand ed Elvis).

Eminem dal vivo a Milano il 7 luglio 2018 Area Experience

Eminem – Foto di Jeremy Deputat

Cosa c’è di così accattivante nel decimo disco di un mostro sacro che ha ormai (apparentemente) sciorinato tutto ciò che aveva da dire?

Innazitutto, la tecnica: Eminem è un mago del flow, della metrica, degli incastri, delle rime alternate. “Kamikaze” ne è la riprova, e non è fine a se stessa. È lo sbalordimento ritrovato di chi ormai non provava più stupore nel fattore umano di un genere contaminato dal remastering e dall’autotune.
Secondo, lo stile: al passo coi tempi eppure “retrò”, innovativo ma carico di old hip hop skit (“sketch comici”) come le telefonate, è il ritorno sulle scene del vero Slim Shady come abbiamo imparato a conoscerlo e ad amarlo.
Terzo: la furia. Eminem è un provocatore freddo e calcolatore, ma è pieno di quell’elettricità vibrante che ha fatto nel tempo la sua tempra artistica. È sarcastico, è sferzante, dà al pubblico ciò che il pubblico chiede e in questo è in grado di fare il brutto e il cattivo tempo della sua stessa carriera, riprendendosi da uno schianto musicale come “Revival” con ritrovata vitalità mordace.

In un album pieno di dissing (da Lil Yan, Xan e Pump fino a Drake, da Machine Gun Kelly a Joe Budden.. entrambi per altro molto alterati dal diverbio), Marshall propone la sua visione di veterano sui nuovi volti della scena (t)rap, sfociando in un alterco sprezzante astutamente calcolato di cui persino un rapper come Crooked I cerca di dirimere l’animosità.
Contestando la noia verso tutti i luoghi comuni della trap – i gioielli, le sostanze, la malavita e l’adulterio – il virtuoso delle barre mostra a tutti i piccoli alpha emersi dalla transitorietà della fama cosa sia essere un GOAT (Greatest Of All Time) del rapping, dove gli extrabeat (per chi non lo sapesse, triple/quadruple rime su bpm molto alti) sono la vera arma offensiva e ricordano da sempre uno scratch di prim’ordine (di Grand Wizard Theodore fuori e dentro il Bronx, potremmo dire).

Eminem disco recensione album "Kamikaze"

Kamikaze (in nomen omen), definito da molti un album ‘a sorpresa’, senza preavviso (a seguito dell’insuccesso del precedente lavoro di appena un anno fa) è un disco a miccia accesa, tanto rabbioso quanto autoironico, compiaciuto e al limite del contegno ma contrariamente a quanto la proverbiale autoreferenzialità del Master of Cerimonies (chi più di lui merita il titolo di MC) possa far credere, il titolo prende spunto dal termine usato per definire Donald Trump in “The Storm” durante i BET Hip-Hop Award 2017: un’invettiva modern school schierata apertamente contro il neo Presidente e chi lo aveva votato.

Certo, non manca un chiaro riferimento solipsistico a se stesso: di fatti il brano eponimo “Kamikaze” è un carosello sonoro e un po’ troppo regolare che ricorda le glorie di “Without Me” ma motteggiando il fiasco ottenuto con “Revival” e il fatto di essere una creatura di Dr Dre, né più né meno. Sia la copertina – uno smaccato rimando ai Beastie Boys di “Licenced To Ill” (il primo disco rap bianco) che la produzione non gridano esattamente all’innovazione: basi dreiane nude e crude e rap al vetriolo denotano poca originalità ma l’intento di “Kamikaze” è precisamente quello: celebrare la superiorità della old school rispetto alla scena moderna.

LEGGI LA RECENSIONE DI “REVIVAL”

 

C’è chi lamenterà il fatto che “Normal” ricada sulla classica mistica di una mascolinità tossica e violenta – nonostante il protagonista della vicenda non sia veramente lui – chi vedrà nelle rimembranze nostalgiche dei D12 di “Stepping Stone” una malinconia trita e ritrita – oltre al classico senso di colpa di chi ha fatto successo a dispetto di chi non ce l’ha fatta, con la fama e con la vita. Ci sarà persino chi vedrà in “The Ringer” nient’altro che la tipica evoluzione (dal flow in ‘adagio’ del genere trap, al turbo dello stratosferico freestyle in extrabeat) di chi scimmiotta il genere preso di mira, senza rendersi conto che tutti questi elementi sono proprio la chiave di volta dell’album: sotto un’apparente denuncia dei mumble rappers di oggi, la nostalgia dei tempi che furono, la misoginia gratuita e l’omofobia apparente si cela una critica più profonda verso l’occhio fanatico di chi vede in Eminem le “glorie del passato” e rivorrebbe indietro il suo paladino a dettar legge – una specie di mitizzazione del “si stava meglio quando si stava peggio”.. e chi è lui per non trasformarsi nell’uomo di mezza età che svilisce tutto ciò che non è circoscritto alla sua epoca?

Revival“, uscito a dicembre 2017, non propriamente accolto con calore da critica e pubblico nonostante i featuring d’eccezione (Beyoncé, Ed Sheeran, Pink, Alicia Keys) lo ha portato in un tour trionfale attraverso i principali festival rock mondiali (e, per la prima volta, anche in Italia di fronte a 80.000 persone) ha riportato in auge il suo talento, la sua grinta e la sua sete di rivalsa.. o almeno questo è ciò che è lecito credere.
Ma se fosse stata tutta una mirata ed acutissima operazione di self marketing?

Paul Rosenberg, il manager di Eminem e co-fondatore della sua etichetta Shady Records, nella sua telefonata a Slim recita:

“Ho ascoltato il nuovo album. Davvero vuoi metterti a rispondere a tutte le cose su di te o sulla roba a cui stai lavorando che non ti è piaciuto sentire? Voglio dire, forse non è una buona idea. Tipo, dopo che farai? “Kamikaze 2″, l’album in cui rispondi a tutti quelli a cui non è piaciuto l’album che avevi fatto per rispondere a quelli a cui non era piaciuto l’album prima?”.

Quale che sia la verità dietro l’infinità di maschere di Marshall Mothers, per riprendere le parole di un 22enne Paul Weller dei Jam, “That’s Entertainment!”. Ed Eminem, oltre al flow e le metriche stratosferiche, lo sa fare da Dio.

Ora non vi resta che ascoltarlo.

VOTO: 8

2 pensieri su “EMINEM: la recensione di “Kamikaze” (2018)

  1. Ottima recensione!
    Io ascolto solo “Kamikaze” da più di una settimana ed ancora non sono riuscito a spolparlo del tutto. Ci sono doppi sensi, messaggi subliminali, paragoni e giochi di parole che ancora colgo del tutto, nonostante io lo ascolti sempre con testi davanti agli occhi. Sarà la lingua, sarò pure io un po’ scemo, però penso sia anche una cosa proprio di Em quella di costruire versi complessi, ma assolutamente non inutili. Anzi, essi nella loro complessità trovano una profondità unica, in grado di offrire all’ascoltare sempre qualcosa di nuovo da scoprire, che siano rime o particolare significati nascosti, anche dopo anni di ascolto. Forse è questo il motivo per cui lo amo tanto.
    Inoltre, non ci sono solo dissing in questo album: c’è un Em che fa i conti col passato, con cosa ha messo in gioco (D12 in primis) per arrivare alla fama ed ai Grammy.
    Parentesi sulle relazioni da me gradita – Nice Guy a parte.

    Invece, trovo sconcertante il backlash negativo che l’album si sta beccando da parte di una buona fetta della stampa americana. Bah, saranno i tempi che sono cambiati?

    Fatto sta che l’album, insieme anche a TA13OO ed altri progetti estivi usciti in America, è un ritorno a quel rap/hip-hop che si era perso da un bel pezzo. E per fortuna direi.

    • Gianluca Ricotta ha detto:

      Assolutamente d’accordo con te Nicola! Molta della stampa che lamenta poca innovazione nel nuovo disco di Shady è esattamente la stessa che auspicava un suo ritorno alle origini. Il nostro parere (mio per lo meno) è che Em abbia dato loro ciò che volevano, giocando sulla consapevolezza che a quel punto avrebbero spostato il mirino verso un altro aspetto (l’originalità). La vox populi è sempre insoddisfatta insomma. Mentre il buon Shady oltre a divertirsi sulle diatribe scatenate, ha sfornato un album sottile e geniale, pieno di dettagli che a un primo ascolto sfuggono anche all’orecchio più attento 😉

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