Birthh: «”Moonlanded”, la mia terapia. Avere 20 anni oggi? Fatevi domande e concentratevi sui veri valori»

Birthh - Foto di Ikka Mirabelli
Birthh – Foto di Ikka Mirabelli

Birthh apre il suo mondo caleidoscopico con i brani del nuovo album “Moonlanded”. La cantautrice alternative pop toscana classe ’96, vero nome Alice Bisi, dopo essere rimasta bloccata a New York a marzo del 2020, si è trasferita a Brooklyn per buttarsi a capofitto nella scrittura di un nuovo capitolo della sua vita.

“Moonlanded” è il viaggio emotivo di Birthh in cui trovano spazio l’amore per la nuova fidanzata, poi divenuta moglie, la nostalgia di casa e dell’Italia, l’affetto per la famiglia e le aspettative verso il futuro tra ambizioni e incertezze.

"Moonlanded" copertina album Birthh

Ciao Birthh! Come nasce “Moonlanded” Quanto ha influito sui brani il tuo trasferimento a Brooklyn?
Io sono venuta negli Stati Uniti il 4 marzo 2020. per una serie di eventi scollegati tra loro mi sono trovata bloccata per i primi nove mesi in una fattoria del New Jersey, nella parte più intensa della pandemia. E proprio lì ho scritto la maggior parte dei brani. Ho iniziato a sentire molta tensione fra la mancanza della mia famiglia ma anche mio nonno che è venuto a mancare e non sono potuta tornare in Italia. Ma ci sono state anche cose belle, come trovare una famiglia qui, i miei amici, e la mia compagna. Tutte queste cose si sono concretizzate nel disco, per un processo autobiografico di come ho vissuto questi ultimi anni della mia vita, le parti belle, brutte, sognanti, più ballabili e più oscure.

Ma nella genesi del disco hanno influito anche le canzoni che tua madre e tuo nonno ti cantavano da bambina. Quali sono queste canzoni?
Mio nonno aveva questa tastiera da karaoke che portava in giro nelle parrocchie e negli ospizi, lui era napoletano. Con lui cantavo le canzoni napoletane e non solo. Era un signore del ’39, il suo mondo musicale era quello di Gino Paoli, Sergio Endrigo. Mia mamma invece è una fan sfegatata di Mina, Lucio Battisti e Ornella Vanoni.

Ora però con “Moonlanded” hai perso la tua italianità ma hai guadagnato l’internazionalità
Stare qui mi ha fatto riscoprire la mia italianità seppure il disco sia cantato in inglese. Ma comunque ho ricercato determinate sonorità con la volontà di riaprirmi all’Italia in modo diverso e magari più avanti tornare a cantare in italiano. Chissà…

Ma il disco racconta anche cosa vuol dire 20 anni oggi…
Per me significa vedere un po’ una serie di strutture, una serie di cose che forse i nostri genitori davano per scontato, alcuni cammini di vita che loro vedevano sicuri: l’università, il lavoro, la famiglia. Oggi sono un po’ caduti questi standard. Perlomeno nella mia vita. Ho visto sbriciolarsi di fronte a me tutte queste cose, ho visto persone veramente infelici nei propri matrimoni, ho visto persone con carriere fantastiche che però sono sole nella vita. Credo che la nostra generazione debba avere sempre la necessità di farsi domande su cosa veramente valga la pena e quali sono veramente i valori su cui vogliamo concentrarci. Sono domande che mi hanno portata a fare un disco senza compromessi a livello di produzione, di testi e di valori. E tra le cose più importanti che rimangono c’è l’amore che credo abbia influito in buona parte su “Moonlanded”.

Ti sei dedicata ogni giorno prima al risveglio muscolare e poi alle registrazioni delle canzoni. Come sono collegate queste due cose?
Alcuni brani sono stati registrati con una take unica e per fare questo ci vuole un’attitudine atletica al canto. Tutte le mattine mi svegliavo e facevo cardio per avere il diaframma forte, poi facevo esercizi vocali e la differenza l’ho notata. È stata una grande fonte di orgoglio.

In tutti i brani c’è il contrasto tra il sentirti viva e la fatica del dover sopravvivere. L’ago della bilancia dove pende di più?
Penso che la fatica dell’andare avanti sia proprio parte del sentirsi viva. L’esperienza ha il picco nei contrasti, lo Yin e lo Yang. Emozioni positive e negative che di fatto creano ciò che siamo. Sono due elementi che vivono in equilibrio tra di loro, sono parte del vivere la vita lasciando spazio ai propri sentimenti, avere una ragione di vita e affrontare tutto di petto. Il disco mi ha aiutato molto, è stato quasi un processo di terapia.

Visto che prima hai nominato Mina e Gino Paoli, c’è un artista italiano con cui ti piacerebbe collaborare?
Mi sono molto emozionata a vedere Gino Paoli a Sanremo, è uno dei cantautori che amo. Mi ricorda il modo in cui Fred Astaire cantava “Cheek to cheek”, come se fosse sotto il tuo balcone, ma sempre con una certa intensità. Quindi direi lui. Della mia generazione invece direi Colapesce, con cui peraltro già collaborato. Credo lui abbia quella chiave della canzone italiana classica ma portata in questi anni.

Hai suonato al Primavera Sound, al SXSW, Ypsigrock. Ma c’è un aneddoto che ricordi con particolare gioia?
Forse prestare l’accendino a Mac DeMarco è stato un momento abbastanza simpatico della mia vita. Eravamo in camerino al Todays Festival a Torino.

Birthh - Foto di Ikka Mirabelli
Birthh – Foto di Ikka Mirabelli

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