
“Bawdy Black Pearls” è il nuovo album di Veronica Sbergia. Dodici donne afroamericane degli inizi del ‘900, dodici artiste blues e jazz, dodici canzoni licenziose con un unico minimo comune denominatore: la libertà di essere se stesse e cantare della propria condizione senza peli sulla lingua. Bawdy Black Pearls è un disco nato dalla consapevolezza che queste blueswoman, alcune delle quali semi-sconosciute, hanno contribuito in modo determinante, attraverso le loro canzoni, alla nascita di una coscienza femminista nelle donne afroamericane della workingclass degli inizi del XX° secolo.
Veronica Sbergia studia e si concentra da oltre vent’anni sul pre-war blues e le sue diramazioni ed ha fortemente voluto questo album, con l’intento di dare un doveroso riconoscimento a queste artiste: donne coraggiose e controcorrente, libere di autodeterminarsi, progressive e spregiudicate. Le perle nere a cui fa riferimento il titolo, sono nello stesso tempo le canzoni e le sue interpreti e sono “bawdy” nel senso di licenziose, libere e allegramente sconce.
Track by track
Stavin ‘Chain: Brano di apertura del disco, è stato scritto e interpretato da Lil Johnson nel 1937. Stavin’ Chain è una figura di leggendaria forza e resistenza soprattutto dal punto di vista sessuale nel folklore afroamericano. La protagonista del brano si ribella al partner infedele e rivendica la sua autonomia sessuale rifiutando il destino che la vuole mero oggetto passivo nell’atto amoroso e mettendo al primo posto le sue regole e la sua libertà sessuale.
He May Be Your Man (But He Comes To See Me Sometime): brano di Lucille Hegamin, al secolo la seconda cantane afroamericana a pubblicare un disco nel 1920, subito dopo il leggendario Crazy Blues di Mamie Smith. Questa canzone, registrata nel 1922, divenne uno dei brani blues più popolari dell’epoca e una sorta di manifesto della vera “bad girl”.
Lotus Blossom: una sofisticata canzone jazz-blues. Venne incisa nel 1945 dalla cantante e pianista Julia Lee ed è la storia di una donna che trova conforto dall’angoscia attraverso una realtà sognante e distorta indotta dall’uso della Marijuana. Julia Lee era specializzata in un repertorio osé e, per usare le sue stesse parole, in “canzoni che mia madre mi ha insegnato a non cantare”.
Ma Rainey’s Black Bottom: con questo pezzo si tributa il doveroso omaggio alla Madre del Blues Gertrude “Ma” Rainey, che scrisse e incise questo brano nel 1927. Il Black Bottom, una forma di ballo sociale di origini afroamericane, divenne una vera mania nazionale nel sud rurale degli Stati Uniti ed è qui utilizzato in modo spiritosamente ambiguo, alludendo al grosso fondoschiena nero della Rainey e allo stato di trance in cui cadeva il pubblico che assisteva alle sue ipnotiche movenze.
What’s your price: brano in cui si parla di prostituzione. Lena Wilson incise questa canzone nel 1931, quasi alla fine della sua carriera. La metafora della donna che apre un negozio di alimentari, dove ogni tipo di “merce” ha il suo prezzo è emblematica della libertà di autodeterminazione della donna che decide di mantenersi come sex worker.
B.D. Women’s Blue: brano in cui l’omosessualità femminile è al centro, scritto e registrato da Lucille Bogan nel 1935. Questa canzone è una delle prime canzoni blues lesbiche della storia e la Bogan scrive del suo desiderio di vivere in un’epoca in cui le donne lesbiche non sentano la pressione sociale di sposare un uomo, un’affermazione sorprendentemente progressista nella musica popolare degli anni ’30!
Dope Head Blues: in questo pezzo della blueswoman texana Victoria Spivey, fondatrice della Spivey Records nel 1961, si torna a parlare di droghe. La versione originale fu incisa nel 1927 con il leggendario Lonnie Johnson alla chitarra ed è il racconto di una fantasia delirante indotta dalla droga sull’essere ricchi, sani e importanti mentre nella realtà si affrontano le difficoltà della tossicodipendenza.
My Man Rocks Me (With One Steady Roll): in questa canzone si tratta di argomenti decisamente più frivoli. È una storia di beatitudine erotica, incisa per la prima volta nel 1922 ad opera di Trixie Smith.
Sold it to the Devil: brano registrato da Merline Johnson nel 1937. Qui viene evocata la figura del Diavolo, da intendersi non come personaggio malvagio o crudele nel senso cristiano del termine ma quale entità spirituale venerata da un sistema religioso politeista, il hoodoo, e quindi come figura guida e invocata per apprendere un’abilità.
Hot Nuts (Get ‘em from the Peanut Man): questo salace brano fu registrato nel 1936 da Georgia White, una potente pianista e cantante abituata a eseguire il suo repertorio di canzoni piene di pungente ironia nelle turbolente barrelhouses del sud. Qui la descrizione si concentra su varie tipologie di attributi maschili (nuts) e le relative reazioni da queste provocate nelle ragazze.
I Ain’t Gonna Give Nobody Nessuno dei miei Jelly Roll: uno dei brani più datati del disco, la cui prima incisione risale al 1919. Sweet Emma Barrett ha registrato la sua versione nel 1961. Il Jelly Roll, oltre ad essere un dolce di Pan di Spagna ripieno di marmellata, è anche uno dei tanti evocativi eufemismi culinari per indicare i genitali femminili, metafora molto usata nei testi blues.
If it don’t fit (don’t force it): in chiusura abbiamo una piccante ballata, apparentemente riferita al sesso anale, che Aletha Mae Dickerson incise nel 1937 sotto lo pseudonimo di Barrel House Annie.