
“Apnea” è il primo album di Fogg, un libro di memorie e avventure di vita, scritto con la volontà di abbracciare la realtà e di non esitare mai davanti al cambiamento. L’album raccoglie tutti gli elementi che sono i diversi riflessi dell’autore: un sound ibrido, stratificato, fatto di pop, ma anche di cantautorato, black music ed elettronica contemporanea.
In “Apnea” si incontrano due mondi distanti, quello elettronico e quello più classico, mescolando le diverse anime di Fogg in modo naturale.

“Apnea” è un lavoro identitario ma che cerca sempre l’innovazione, ti dai un orizzonte futuro.
Assolutamente sì, questa è una parte essenziale che sono abituato a fare. Io vengo da tutto quello che è vecchio, passato, metodico e a volte un po’ limitante. Perciò ogni volta che faccio qualcosa che mi permette di oltrepassare una barriera, un limite, ho un brivido.
Dove pensi di aver dato di più in questo disco?
Ho dato di più dove credo di essere più scarso, cioè nella scrittura dei testi, che reputo uno dei miei talloni d’Achille. E per questo album ho fatto il meglio che potevo a livello puramente testuale e nella ricerca delle parole.
C’è qualche riferimento del passato nei testi, ma anche nei suoni, da cui hai preso spunto?
“Apnea” è un disco variegato, ha molti spunti. Io quando scrivo mi immergo completamente nella musica di un’artista o di un compositore di un certo genere. Col passare del tempo ogni mia canzone si è avvicinato a queste influenze e ha visto così la luce non un disco di genere ma quasi una playlist, con brani che ricordano sonorità diverse.