
“Tra l’altro so che stai scrivendo il disco nuovo
E siccome il periodo è strano,
Surreale, complesso
E so benissimo che te nelle cose surreali, complesse, strane
Ci sguazzi che è una bellezza
Sono certo che stai scrivendo roba seria
E quindi ti auguro buon lavoro
Forza Fibra”
A volte l’inizio e la fine delle cose sono molto meno distanti di quello si creda, serve solo trovare il percorso e il timing giusto per collegarle: benvenuti nel regno di Fibra.
17 marzo 2022, ore 23.59, un minuto all’uscita dell’album. Ho troppo sonno non riuscirei ad ascoltarlo con la testa giusta, ancora mezz’ora di tv e poi a letto: la solita dose di guerra e pandemia, va bhè signori…buonanotte.
18 marzo 2022, ore 08.30, buongiorno mondo. Mi sveglio, apro un attimo Instagram e Twitter: “Ne è valsa la pena stare svegli e ascoltarlo nella notte, ‘sto disco è una mina”. La prima cosa che penso: “Ecco le “bombe” di cui abbiamo bisogno”, do un’altra occhiata a post, tweet e commenti, le dita mi sfrigolano.
DENTRO IL “CAOS”
Mi bastano 30” per essere catapultato in una dimensione dove non ho certezze, ma solo volontà di ascolto. Parte “Il Cielo in una stanza” di Gino Paoli…poi arriva Fibra che incendia l’Intro ripercorrendo tutta la sua discografia.
“Torre di controllo, aiuto, sto finendo l’aria dentro il serbatoio”, avrebbe detto Samuele Bersani, invece è solo l’inizio, serve allacciarsi le cinture perché se lo start è questo dal resto dell’album ci si può aspettare di tutto.
Nell’epoca delle campionature ben riuscite, Fibra mette la boccia a punto, pianta la bandiera, ma non lo fa con senso di scherno verso gli altri, anzi. È che lui sta semplicemente lì: al piano di sopra.

Origine, sedimentazione, evoluzione
È come se nell’album numero 10 ci fosse tutto. Di fianco all’1 si è aggiunto uno 0, che però non emblema di vuoto: è completamento, è struttura, è consacrazione. Fibra è un fantasista che non puoi ingabbiare, che un po’ in maniera narcisistica a volte lavora sulle proprie autocitazioni, ma che sa benissimo quando è il momento di mettersi in proprio e quando serve lavorare di squadra con produttori e altri artisti.
Spiega le canzoni e lancia temi: rappa in quella che probabilmente è la migliore versione di sé stesso.
Nel Caos
Superata la prima montagna russa emozionale di Intro, sento la curiosità che mi divora. Ho già capito che le cuffie saranno le mie compagne di viaggio per la mattinata.
“GoodFellas” e “Brutto Figlio Di” sono per certi versi due biglietti da visita con cui non puoi barattare. Se vuoi ascoltare Caos, devi passare da lì. C’è il Fibra “sanguinario e maleducato”, diretto.
Roba così ti scalda l’anima, come un bicchiere di cognac. L’hai mandata giù e pensi di poter avere cognizione dello spazio musicale nel quale sei capito, ma non è così.
Arrivano 5 featuring uno più potente dell’altro. A portarti “Sulla Giostra” ci pensa Neffa, sulle “Stelle” invece il biglietto di sola andata lo stacca Maurizio Carucci, prima che gli oracoli Colapesce e Di Martino sfoderino un ritornello di “Propaganda” da teatro dell’assurdo e che Lazza e Madame alimentino il “Caos”, per nulla calmo, di una sequenza che si chiude con un’iconica “Pronti al Peggio” insieme a Ketama 126.
Fibra come un abile alchimista combina beat e voci, in una struttura che può sembrare semplice, ma che in realtà consente a tutti di trovare il colore migliore per la propria voce e i propri testi. È come un All-Star Game, per certi versi è rap futuristico, è una festa e siamo in 103, 3 mila e 33. Se sei lì è perché hai alzato l’asticella.
“Lo vedi quante belle cose capitano a chi è introdotto”, diceva Kevin Spacey in “21”, che parafrasando ulteriormente avrebbe anche potuto dire: “Fibra vittoria, grande baldoria!”.
Riflessività solitaria
Dopo 5 featuring, è il momento del “One Man Show”. Da “Fumo Erba” a “Amici o Nemici”. Contraccolpo: percepisco subito che qualcosa è cambiato. Il gioco si è spostato in una dimensione più intimista, ma anche più provocatoria. Non puoi schivare i pugni allo stomaco dei temi che vengono lanciati.
Mentre i brani scorrono leggo le frasi del testo, poi premo stop, ci penso, le lancette dell’orologio della sala girano a vuoto, sembrano i miei pensieri, non si può stare in posizione eretta nell’assorbire i colpi. Metabolizzo, ma non riparto.
Assi di briscola
Sono entrato nell’ultima parte del disco. Prima di ascoltare le canzoni guardo i nomi di chi fa parte dei featuring: Guè, Salmo, Marracash, ma non solo. È come essere al tavolo di una partita di briscola dove all’ultima mano ci si può scambiare le carte col proprio compagno per provare a “strozzare” gli altri più forte di tutti.
Ascolto e riascolto questa sezione dell’album: sono in un totale-loop spazio temporale. Scrivo e cancello, provo ad autoanalizzarmi: non ho il blocco dello scrittore anzi. La testa va e ho capito che su me stesso che “Scrivere per me è un modo per mettere ordine al mio disordine”. In “Cocaine” Guè incastona barre che vanno oltre l’immaginazione, Fibra “gestisce” gli intervalli lanciando con un “politicamente scorretto” il momento di un Salmo che in poco meno di 25 secondi sprigiona tutta la sua ruvidità identitaria.
Sbam: altro tiro, altro giro, altro regalo
Respiro. Cuffie. “Noia” e c’è Marra. Inception: con questo titolo poteva starci benissimo in “Noi, Loro, Gli altri”. Intuizione e contro-intuizione, storyline rivelazione: Marracash scrisse la sua strofa prima che uscisse il suo album “Persona”.
“Il tempo passa, ma poi non ritorna”. Le lancette, la clessidra: elementi e principi della “Fibrica Quantistica”, di uno che una volta ci ha detto che “Il tempo passa per tutti, è un due di picche. Sono invecchiate anche le attrici di Twin Peaks”. In tutto questo una spruzzata “maledetta, intimista, metafisica e tagliente” di Charles Bukowski fa da apripista a un Marracash centrifugante, in una lavatrice dell’anima senza distinzioni di emozioni, pensieri e sensazioni. Più che un programma rapido da elettrodomestico: una di quelle sedute per astronauti che lottano per abituarsi alla mancanza di forza di gravità.
Come Jumanji
Due caselle alla fine di un’incredibile tracklist che è diventata come un ingarbugliato Jumanji.
“Nessuno”: Fibra canta – sì, il verbo è quello giusto – da solo. Al suo fianco però, con la penna e la vena da scrittore, c’è Davide Petrella. Un racconto incentrato sullo stalking, con un punto di vista personale (anche se casuale e non basato su alcuna persona) su un argomento delicato, con un inizio scioccante e una fine ancor più cruenta. Una sfaccettatura dell’album che immediatamente non colpisce ma che, ascoltando e riascoltando, ne aumenta la cifra per diversità e profondità.

Striscione del traguardo
Una canzone con una base e un testo come quello di “Liberi” è la ciliegina su una torta venuta benissimo. Fibra, da pugile abile, esperto e resistente, ti tocca ancora col suo jab situazionale-emozionale in un’ideale “16esima ripresa”, mentre una profonda Francesca Michielin ha il compito di condurti all’angolo, toglierti il paradenti e liberarti dalla fine di una piacevole e probante fatica.
Sono sceso dalla giostra, ho lo stomaco sotto sopra. Combattuto fra la voglia di risalire e quella di lasciare che tutto lo sconquasso interiore abbia il tempo di ridefinire forme e situazioni…
“Senza musica probabilmente non sarei niente
Ti giuro, non saprei che fare senza lei
Se l’hip hop fosse una donna, le direi
Quando sei qui vicino a me
Questo soffitto viola, no, non esiste più
Io vedo il cielo sopra noi”