Post Malone, C’era Una Volta a Hollywood

Post Malone e il nuovo album "Hollywood's Bleeding"

Sembra un attacco incrociato, quello mosso da tutta una schiera di musicisti, cineasti, sceneggiatori e persino showrunner di serie animate (Bojack Horseman in testa) ai danni del malcapitato quartiere losangelino, almeno negli ultimi anni. Levinson, Tarantino, Todd Phillips..e ora MGK, Sheeran e lo stesso Post Malone. Eppure la città dei V.I.P., da tempo simbolo del jet set e del tanto esecrato show business (chissà perché sempre da chi viene pinguemente nutrito dai suoi seni) continua ad essere oggetto di tentazione e repulsione di quelli che, alla fine della fiera, ce l’hanno fatta.

La scaletta di Post Malone allo Sziget Festival 2019

POST SCRIPTUM
Post Malone, pseudonimo creato da un generatore automatico di nomi tosti, al secolo Austin Richard Post, è un giovanissimo trapper di Syracuse, New York. Non sfiora neanche il quarto di secolo e assieme a Gucci Mane, Lil B, Diplo, Migos, French Montana, Lil Uzi e pochi altri nomi bellissimi, è già asceso tra i massimi esponenti ai vertici del sottogenere hip hop.

Con un viso a metà fra Shia Labeouf e Luke Arnold (il Long John Silver di “Black Sails”), ma più pacioso, e una sfilza di tatuaggi da far invidia persino a Yelawolf, ma meno ricercati, è l’archetipo perfetto della moderna trap americana: un efficace mix di stili diversi. Carattere e uscite sono tipiche del teen idol (in una recente intervista ha dichiarato di aver costruito un bunker sotterraneo sotto la sua villa in Hutah per scongiurare la fine del mondo), ma il fiuto compositivo viene da ben più lontano.

Il mondo si evolve, e i trapper con esso. Dopo una prima fase di assestamento tra autotune e musiche southern cosparse di drum machine, con testi che non trascendono mai la superficialità (fase mai superata in Italia), il bisogno di progredire per non soccombere ad un genere di transizione ha spinto i più influenti a fondersi e sintetizzarsi con altre derivazioni musicali. Sarà per il volto da ragazzo di buona famiglia sepolto sotto quella scorza da duro, o per l’acume che trasuda il suo sguardo sornione, ma fra tutti, Post è quello che ha dato finora la massima prova di eclettismo. Al punto da sentirsi dare dell'”avvoltoio culturale” per aver reso proprie alcune caratteristiche della cultura afro-americana.

La musica di Post è un insieme di country, grunge, hip-hop e R&B, dal sound energico e allo stesso tempo pop, in grado di creare dipendenza. Il suo album di debutto, “Stoney” appunto, certificato disco di platino, ha battuto “Thriller” di Michael Jackson per numero di settimane consecutive nella top 10 delle classifiche americane e l’ha condotto alla posizione nr 1 della R&B/Hip Hop Album, divenendo così “il primo artista hip hop esordiente del 2016″. In Italia è l’undicesima settimana consecutiva che gli album rap dominano le classifiche di vendita, e nel podio degli iridati spunta sempre il ventiquattrenne americano.

Post Malone pubblica il nuovo e terzo album "Hollywood's Bleeding"

HOLLYWOOD’S BLEEDING
Il 6 settembre di quest’anno, è uscito “Hollywood’s Bleeding”, suo terzo album in studio. Multiplatino, plurinominato ai Grammy Awards e dalla fulminea carriera in costante ascesa dopo il successo dei precedenti “Stoney” e “Beerbongs & Bentleys”, ormai sembra impossibile per lui non andare a segno.

Se i suoi primi due album miravano a dimostrare la sua versatilità, oscillando tra trap e hip-hop verso country e pop, quest’ultimo esplora in maniera camaleontica l’universo sonoro che ha già creato, come una playlist che salta senza soluzione di continuità fra le canzoni e gli stili musicali.

Copertina "Hollywood's Bleeding" Post Malone

C’è il pezzo indie-rock che ricorda la musica degli Strokes così come il country pop di Taylor Swift e il “la la la la la” di “Crocodile Rock” (“Allergic”); cè la canzone synth-pop nostalgica che lambisce l’ondata retrowave di questi ultimi anni e sembra uscita dall’ultimo capitolo di Stranger Things (“Staring At The Sun”); c’è la traccia afro e neo soul da colonna sonora di film da Oscar (“Sunflower”, di quella pietra miliare e visionaria che è stato Spiderman: Into The Spider-verse).

E poi c’è il brano che non ti esce dalla testa. Da quando l’hai ascoltato in radio per la prima volta: “Circles” è un pezzo atipico, fuori dalle logiche di mercato, che con echi malinconici e bramosi parla di stagioni in perenne mutamento e amori da salvare e riaccendere. Mostrando quello che è il vero potenziale di Post Malone, oltre a suonare come un meraviglioso pezzo dei Tame Impala, degli XX o dei Fleet Foxes.

17 tracce sono tante, forse troppe per una salace critica allo showbiz. Il disco parla, come indica il titolo, della dolorosa oscurità che deriva dallo sfarzo e dal glamour di essere una celebrità in LA. “Hollywood sta morendo per colpa di tutti quei fottuti vampiri succhiasangue” (riferendosi ad arrivisti ed amici di convenienza che spuntano come funghi al fiuto del guadagno personale). La tematica impernia pressocché tutto l’album, che tra drum machine, sintetizzatori e chitarrine minimal – è deliziosamente sperimentale ma generalmente cupo.

LE COLLABORAZIONI ILLUSTRI
Non mancano i featuring, fra i quali SZA, Future, Halsey, Travis Scott, ma soprattutto Ozzy Osbourne, che nonostante possa sposarsi col penultimo quanto una laurea in neuroscienza, firma il brano più poliedrico del disco (“Take What You Want”). Il quale a questo punto si presenta come un album synth-pop-rock-roll-bedroom-indie-trap-hip-hop-break-up (“eh?” direte voi. “Eh”, risponderemo noi). Che poi non si dica che i trapper moderni non facciano di tutto per distanziarsi dalla trap.

Il concerto del 1 marzo di Ozzy Osbourne è stato posticipato per problemi di salute

Le corde tematiche e il ritmo cinematografico di “Hollywood’s Bleeding” ne fanno un album meditabondo che mira alla riflessione, ma si lascia trascinare dalla lussureggiante tentazione del potere senza mai condannarla. E sarà quello che ci limiteremo a fare noi, con un genere che ci ha già ampiamente saturato l’apparato acustico. Perché limitarsi a fare un moderato sfoggio della propria bravura, quando al massimo regime si potrebbero cambiare le sorti della trap stessa?

Così come Travis Scott e Ozzy Osbourne potrebbero essere stati solo giustapposti, e invece l’amalgama non solo funziona bene ma è una fortunata combinazione di stili opposti quasi quanto la collab fra Run DMC ed Aerosmith nella celebre “Walk This Way”… così il disco di Post Malone funziona ma avrebbe potuto giustapporre trap e southern in quell’angolino di storia da cui l’hip hop ha ormai l’esigenza e la maturità di allontanarsi.

Che te postino, Malone!

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