NOME
Papa Roach
GENERE
Alternative-Metal
ESORDIO
Noo Roots EP (2017)
ULTIMO ALBUM
Who Do You Trust? (2019)
COPERTINA

ELENCO CANZONIL
The ending
Renegade music
Not the only one
Who do you trust?
Elevate
Come around
Feel like home
Problems
Top of the world
I suffer well
Maniac
Better than life
VIDEO/SINGOLI DALL’ALBUM
PUNTO DI VISTA
I Papa Roach tornano dall’Eliseo del nu metal dopo poco più di un anno dall’ultima fatica “Crooked Teeth” e regalano agli amanti del genere un nuovo modo di intendere il crossover, pieno di trame pop ed inni tech-rock.
Un esoscheletro elettronico che già ricopre band derivative di successo come Nothing More ed Higly Suspect.
INNOVAZIONE VS NOSTALGIA
I Papa Roach vengono considerati da molti come precursori e colonna portante della comunità alternative rock internazionale, un genere che ha visto la sua golden age nel 2000 ed uno spazio in cui ancora oggi si fanno notevoli progressi, nonostante la morte dell’heavy e dell’hard rock propriamente detti. Suono unico e concerti spettacolari sono il motivo per cui questa band è ancora oggi apprezzata da vecchie e nuove generazioni di amanti della musica. Ora, dopo un periodo relativamente breve successivo all’uscita del loro brillante nono album “Crooked Teeth”, il 18 gennaio vede il ritorno del quartetto due volte candidato al Grammy, con il loro decimo album in studio, “Who Do You Trust?”. Un ritorno che piacerà ad alcuni, pur non accontentando la fame di tutti.
Musicalmente, il disco include alcune scelte audaci e persino curiose. In particolare la mancanza di bassi, o di una fascia di sonorità basse, rende il prodotto da una parte delicatamente sottile ed arioso, dall’altra compatto e molto sintetico.

I brani che più affascinano sono indiscutibilmente i primi tre dell’album, canzoni che innalzano la cifra dell’intero disco e rappresentano una partenza post-rock sperimentale emozionante e profonda: “The Ending” rimarrà il brano più rappresentativo dell’innovazione dell’LP mentre “Renegade Music” riflette i maestri di questo stile che si incarnano nei Rage Against The Machine e negli Audioslave. Tanto che il muggito “Motherfucker!” del vocalist Jacoby Shaddix sul riffing in stile Tom Morello fa il verso proprio a Zach de la Rocha nel suo indimenticabile “Killing In The Name”.
Ma è con la “ballata” “Not The Only One” che la band si eleva a un nuovo livello, con sperimentazioni pop punk che sembrano adattarsi benissimo alla membrana cellulare del sound corposo ed heavy metal del quartetto californiano. E proprio di elevazione si parla nel brano “Elevate”, traccia che più di ogni altra ci ricorda chi aveva affrontato questa metamorfosi elettronica prima di loro: la band capitanata da Mike Shinoda ed il compianto Chester infatti aveva ricevuto un iniziale “sparatevi in faccia” dai fan come feedback al loro brusco cambio di sound. Ma inaspettate proiezioni aeree sospese nel vuoto avvengono quando la valutazione del beneficio supera quella del rischio.. e così la combinazione di chitarre ritmiche e strumentazione trap funziona straordinariamente meglio per i Papa Roach di quanto avesse fatto temporibus illis per i Linkin Park. E dove non c’è elettrofonia, le riminiscenze nu metal e rapcore lasciano spazio alla melodia e alla fluidità armonica della voce di Jacoby Shaddix.

Purtroppo proprio da “Elevate” arrivano i primi echi di già sentito, con inni e cori da stadio che annoiavano già ai tempi degli Hoobastank e dei P.O.D., mentre “Come Around” suona un po’ come un figlio in incubatrice di Mike Shinoda avuto coi Good Charlotte. “Feels Like Home” fa pensare ad Adam Gontier dei Three Days Grace che partecipa ad una gara di skate coi Lost Prophets e si provoca una frattura scomposta. Ironicamente “Problems” è il brano con meno problemi del decalogo. Ironicamente, è proprio prendendo rischi e ponendo un’attenzione particolare al songwriting, che i Papa Roach mantengono e rafforzano la propria posizione di fronte ai loro contemporanei.. mentre adagiandosi nel tepore della comfort-zone non fanno che assomigliare alla stessa massa che da sempre ha attinto al loro stile per emergere.

Se quindi “Who Do You Trust?” non è il trionfo in pompa magna che ci si aspettava da una band così multigenerazionale, non manca di avere dei momenti grandiosi e di essere un testamento per chi ha sete di innovazione. La band infatti partorisce ancora dei piccoli colpi di genio (come la continuità e l’intercambiabilità dell’ultima canzone del disco, “Better Than Life” con la prima “The Ending”) che fanno scaldare quell’angolo dolce amaro di cuore innamorato delle parole “se solo fosse stato”:
“Liricamente, la direzione che stiamo prendendo è paragonabile alla storia di una battaglia interiore, e di come si riesca a trovare pace solo nel conforto dei propri sentimenti umani inalienabili: cose che tutti abbiamo vissuto ad un certo punto della nostra vita, cose che ci uniscono. Un po’ come questa strana giustapposizione di maturità ed adolescenza che ci rappresenta: c’è un sentimento di nostalgia ma anche di speranza, nel futuro dei Papa Roach. Ecco, sento di poter dire che la dicotomia stilistica del disco mantiene viva questa sensazione.. cerchiamo sempre di innovarci, ma quando ci alziamo e suoniamo i nostri successi, la gente dice ‘Oh cazzo, mi ricordo di quell’anno!’“