
“Love, death and noise” è il terzo album di Alberto Cipolla, musicista, compositore e produttore apprezzato per il suo stile che va dalla classica all’elettronica. Nel 2020 è arrangiatore e direttore per gli Eugenio in Via di Gioia a Sanremo, nel 2025 per i superospiti Jovanotti e Mahmood. Al CPM di Milano insegna nel Master di SongWriting Scrittura Collettiva.
Concepito durante il primo lockdown da COVID-19, “Love, death and noise” prende forma negli anni intorno ai concept di amore e morte. E proprio il disco è volutamente diviso in due parti: una più dark, intima, cupa, ispirata alla tradizione neoclassica e folk, e una più light, con ispirazioni elettroniche e indie. “È un disco che in tutti questi anni di lavoro ha spesso cambiato pelle – racconta Alberto Cipolla – e oggi finalmente ha esattamente la forma e il suono che avrei voluto avesse”.

Il disco “Love death e Noise” è diviso in due parti: una dark e una più indie. Come mai hai pensato a questa divisione?
È venuta fuori naturalmente raccogliendo il materiale. Durante il lockdown ho scritto un pezzo al giorno. E molto di quel materiale mi sembrava da riutilizzare, così l’ho rilavorato. Altro l’ho creato nei mesi successivi, complice la morte di mio padre. Mi ero accorto che le cose più interessanti erano “Untitled 14”, “The Legend of Ashitaka”, “Takk” e “Star-crossed lovers”. Volevo sia parlarne in maniera calma e introversa sia avere una valvola di sfogo nei brani. Per questo nasce la dicotomia.
E non sono mai cambiati i pensieri e le emozioni in questo lasso di tempo?
Sulla produzione dei pezzi ci sono stati cambiamenti ma mai ripensamenti di scrittura. Alcuni pezzi, come “A sprout of noise”, hanno avuto più modifiche nella produzione.
“The legend of Ashitaka” è l’unica cover del disco. Ma cosa ti lega al mondo degli anime e dei fumetti visto che è colonna sonora di Princess Mononoke?
Sono un grande fan della cultura giapponese e dell’animazione, nello specifico di Miyazaki e dello Studio Ghibli. Princess Mononoke è uno dei miei film preferiti con una delle migliori colonne sonore di Joe Hisaishi. Il brano nasce come un esperimento prima del Covid. Volevo farne una mia versione con sonorità elettroniche e urban.
Chiudi il disco con “Star-crossed lovers”, una traccia più sull’operistica anche grazie al soprano lirico Elisa Fagà. Come è venuta questa idea?
Quello è un mondo che conosco bene, ho diverse conoscenze al conservatorio di cantanti di lirica. Avevo già fatto una cosa simile ma non così estrema nel disco precedente. Mi sono rifatto alla italo dance di “The Equinox” di Stephen Z con il finale di Figaro con cassa in quattro. Avevo 12 anni e mi piacque tantissimo, sapevo che poteva funzionare. A me piace sempre mescolare le carte.
Come musicista e docente del CPM che uso fai dell’intelligenza artificiale nella musica? Hai mai usato app come Suno?
Sono d’accordo con chi dice che può essere un attrezzo, un tool, che può essere utilizzato, poi il danno dipende da come lo si utilizza. E credo si stia usando nella maniera sbagliata. Ho usato Suno, mi serviva capire come avrebbe reso una voce lirica sul mio pezzo. Alla fine non è uscito un granché.
Secondo te qual è un uso sbagliato?
Quello di chiedergli brani fatti e finiti, il fatto che può farlo non dovrebbe essere una giustificazione. Capisco una piccola casa di produzione video che non ha soldi per un sottofondo generico e va su Suno, è comodo ed economico. Ma anche lì entra in gioco il fattore etico.
In che senso?
Per un mio live volevo usare dei visual, non avevo tempo e budget per un concerto singolo. Allora ho fatto un abbonamento free di una settimana e fatto io dei visual. Ma era un’emergenza. Invece se poi capita il live della vita ovviamente chiamo qualcuno e investo soldi su di lui.


