
“Bruce non voleva essere un eroe. Solo un uomo che cercava di capire se stesso”. Così Jeremy Allen White, protagonista del film “Springsteen – Liberami dal nulla”, ha sintetizzato il cuore del progetto durante la conferenza stampa romana accanto al regista Scott Cooper. L’attore americano, premiato per la serie “The Bear”, interpreta un giovane Springsteen nel periodo più buio e rivelatore della sua carriera: quello in cui nacque “Nebraska”, l’album inciso da solo in una camera da letto nel 1982, diventato col tempo una delle opere più pure e dolorose della musica americana.
Prodotto da 20th Century Studios e distribuito in Italia da Walt Disney Company, il film arriverà nelle sale dal 23 ottobre. Invece dal 24 ottobre Sony Music pubblicherà “Nebraska 82 – Expanded Edition”, un cofanetto con materiale inedito.
Jeremy Allen White: “Bruce cercava la sincerità, non la perfezione”
“Nel disco sento rabbia, confusione e dolore, ma anche tanta speranza. È un lavoro che nasce dall’isolamento e dalla necessità di restare umani. Quando lo ascolto, mi sento compreso”, racconta Jeremy Allen White. L’attore statunitense ha riconosciuto di aver sentito un profondo senso di responsabilità nel portare sullo schermo una figura così amata: “All’inizio non volevo accettare. La pressione era altissima, il legame che Bruce ha con i suoi fan è sacro. Poi Scott mi ha detto: “Bruce vuole che tu lo faccia”. E da quel momento ho capito che non potevo tirarmi indietro”.

White descrive il disco del Boss dell’82 come una confessione in musica, un atto di vulnerabilità:
“Oggi sarebbe difficile realizzare un album come Nebraska. Viviamo immersi nella distrazione e nel perfezionismo digitale. Ma Bruce cercava la sincerità, non la perfezione”. Nel film, dice, ha voluto mettere in scena “l’uomo dietro il mito”: “Sul palco è una forza della natura, ma quando lo incontri scopri una gentilezza disarmante. Dal suo coraggio di mostrarsi fragile ho imparato moltissimo, anche su me stesso”.
Com’è stato interpretare un mito? White riflette con equilibrio: “I miti possono essere pericolosi, per chi li crea e per chi li incarna. Ma Bruce ha saputo mostrare la verità dell’America, non solo la sua leggenda”. E sul possibile riconoscimento all’Oscar, risponde con umiltà: “Non penso ai premi. Mi basta aver condiviso questo viaggio con Scott e con Bruce. Il resto, se arriverà, sarà solo un dono”.
Scott Cooper: “Volevamo raccontare l’uomo, non l’icona”
Per il regista Scott Cooper, “Nebraska” resta “un album che parla di malessere, di mancanza spirituale e di ambiguità morale. È politico, ma da un punto di vista umano: racconta chi vive ai margini, chi insegue il sogno americano senza riuscire a raggiungerlo”. Il filmmaker americano, già autore di “Crazy Heart” e “Hostiles”, ha ricordato l’approvazione diretta di Springsteen al progetto: “È la prima volta in cinquant’anni che Bruce lascia il volante a qualcun altro. John Landau mi ha detto che non l’aveva mai fatto prima: questa volta ha sentito che era giusto”.

Al centro della pellicola, c’è la ricerca di autenticità: “Bruce registrò tutto nella sua stanza, con un quattro piste. Quando provò a rifarlo in studio, il suono era troppo pulito. Lui voleva l’imperfezione, la fragilità del nastro che rallenta, l’eco corto che rendeva ogni parola più vera”. Cooper ha voluto spogliare la leggenda per restituire l’essenza dell’uomo: «“Il nostro obiettivo non era raccontare il Boss, ma Bruce. Un uomo che, nel momento di massimo successo, si stava sgretolando dentro. Non un’icona, ma un’anima che cerca di curarsi attraverso la musica”.
Il film è dedicato al padre del regista, scomparso poco prima delle riprese, “fu lui a farmi conoscere Springsteen – racconta Cooper – quando avevo diciott’anni e non sapevo chi fossi, Nebraska mi parlò di onestà e smarrimento. Questo film è per lui, e penso che lo avrebbe amato davvero”. Conclude con una riflessione il regista: “Ognuno ha un proprio Bruce Springsteen. Noi abbiamo scelto Nebraska perché è il suo disco più umano. Quando il mito tace, resta solo l’uomo”.

