25 anni di “Play”, il capolavoro di Moby tra contaminazione e campionamenti

Moby "Play"

Quando End of a Century aveva anche il suo spin off radiofonico sulle frequenze di Radio Statale Milano, proposi ai miei compagni di avventura di dedicare una puntata della trasmissione a quei dischi che avremmo voluto portare con noi su un’isola deserta. Alla fine la mozione non venne accolta, ma l’idea di stilare una lista di album da portarmi dietro nell’evenienza mi trovassi novello Robinson Crusoe e mi fosse data la possibilità possibilità di portarmi un giradischi per ingannare il tempo, non mi ha mai abbandonato. E il primo album che senza pensarci su troppo mi viene in mente è “Play” di Moby. No, non è un caso che vi racconti questo aneddoto proprio nel giorno in cui questo disco compie 25 anni.

Malgrado il quarto di secolo, un’eternità in un periodo in cui tutto si brucia nel breve volgere della durata di una storia su Instagram e si sottostà ai capricci di qualche algoritmo, ancora oggi ad ascoltare le 18 tracce che compongono il disco di Richard Melville Hall (questo il vero nome di Moby) si ha la sensazione di ascoltare qualcosa di tremendamente contemporaneo. Contaminazione e campionamenti le parole chiave per godersi al meglio quello che è a tutti gli effetti un vero e proprio viaggio musicale. Come autentico esploratore della galassia, Moby attinge a piene mani – con tendenza asintotica al saccheggio comunque ampiamente esplicitato nei credits – al lavoro del musicologo Alan Lomax e alla sua sterminata raccolta di voci e canti popolari. Prendono così vita “Honey”, “Find my baby”, “Run on” e, soprattutto “Natural blues” con il campionamento di “Trouble so hard” cantato da Vera Hall.

Il video di “Natural Blues” con Christina Ricci

Proprio “Natural blues” è forse dei brani più famosi e iconici del disco, accompagnato da un videoclip in due versioni: la prima a cartone animato, con il celebre personaggio del “little idiot” (alter ego fumettistico del musicista) accompagnato dal suo fedele amico a quattro zampe, entrambi arrivati da un altro Universo e alle prese con la cattiveria e l’indifferenza del Pianeta Terra. La seconda versione invece, con la regia di David Lachapelle, ha come protagonista una giovanissima Chirstina Ricci in versione angelo celeste che accompagna un vecchio e malato Moby nelle fasi terminali del suo viaggio terreno. Un autentico capolavoro estetico e narrativo cucito su misura a una canzone che è puro spleen esistenziale, in perfetta accoppiata con “Why does my heart feel so bad?”.

Moby - Natural Blues

La contaminazione di Moby

L’altra parola chiave, come detto, è contaminazione. Perché è difficile inquadrare in un genere ben preciso “Play”. Dentro c’è di tutto: dall’ambient (come “Inside” o “Guitar Fluide & String”) all’elettronica che tende le mani alla house (“Machete”), passando per momenti più introspettivi e sognanti, a partire dalla delicatissima “Porcelain” senza dimenticare “Everloving” e “The Sky Is Broken”, quest’ultima perfetta colonna sonora di quelle notti passate svegli a scrivere o girando in auto senza meta per le città deserte. Eppure, malgrado di primo acchito possa sembrare un minestrone con tanti ingredienti e nessun filo logico, tutto funziona perfettamente e coerentemente dalla prima all’ultima canzone. In un viaggio che è accelerazione vertiginosa e allo stesso tempo dolce ondeggiare in acque tranquille.

Una perfetta playlist che da 25 anni a oggi continua a emozionare, far ballare e sognare, piangere (la già citata “Natural Blues” ma anche la struggente, conclusiva “My weakness”) e prendersi bene in un’altalena emotiva così forte che non si vorrebbe mai scendere. Al punto che una volta concluso l’ascolto, è quasi impossibile resistere alla tentazione di premere nuovamente “Play” e ricominciare la corsa daccapo.

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