Kassie Afò: «Siamo tutti connessi ma spesso ci sentiamo soli: ora seguo solo il ritmo dentro di me»

Kassie Afò

“20<>24” è il nuovo EP del percussionista, producer e cantante novarese Kassie Afò composto da cinque brani che raccontano un periodo di crisi dell’artista, un periodo che ha segnato un cambiamento radicale nella sua vita. La copertina dell’EP mostra due facce, l’io attuale di Kassie Afò e l’io rappresentativo di questo periodo di crisi, un io deformato, quasi sfigurato dall’esperienza vissuta.

Il progetto musicale di Giulio Tosatti (vero nome di Kassie Afò) nasce nel 2018 e in breve lo porta a girare il mondo mescolando le percussioni afro tradizionali con l’elettronica di oggi. L’obiettivo? Creare una nuova fusione che guarda al futuro senza cancellare il passato.

Kassie Afò "20<>24"

Ciao Giulio aka Kassie Afò! Come nascono i brani di “20<>24″?
Ciao! In generale nascono tutti da un’esigenza, da una voglia che mi prende all’improvviso. La mia mente si ritrova quasi sempre a tradurre in ritmi, melodie e arrangiamenti le esperienze e situazioni della vita. Ad esempio quando sono andato al Luna Park con ElliE, man mano che lo stavo girando si stava creando nelle mia testa il ritmo, visualizzavo i tamburi, il basso, qualche parola, un pezzo di melodia. “Amina” per esempio è nata dall’amicizia con Magatte. Un giorno mi sono trovato a pensare a me e lui sul palco, pensavo al suo villaggio, ai bambini del suo villaggio, alla canzone dei bambini nel villaggio e a noi che suonavamo quella canzone su un grosso palco con un grosso impianto, ed ecco l’arrangiamento elettronico.

Ero in bottega mi era venuta in mente in un momento di forte nostalgia, emozione che non mi fa stare bene. Per combatterla e per trasformarla mi è venuto da tirarla fuori dal suo contesto originale e creare una cosa nuova. “Kelemeti” è un pezzo arrabbiato, e l’input per tutto è nato dal riff iniziale di synth bass, a sua volta tagliente e aggressivo. Le parole sono venute dopo aver visto un video di Geopop sulla crisi idrica di Las Vegas. Infine “Sizzini” nasce da un riff di basso e tamburi che stavo creando in studio, sperimento una ritmica. Durante una pausa stavo rollando una sigaretta ed è tutto venuto da sé.

Amina (feat. Magatte)

In copertina c’è una versione di te stilizzata e deformata, dopo una crisi esistenziale. Puoi dirci di più?
In pandemia ho fatto conoscenza con disturbi della salute mentale, cosa che non mi sarei mai aspettato, cosa che credevo impossibile e che mi ha spiazzato completamente. Da un giorno all’alto il mio corpo è stato pervaso da scariche costanti di adrenalina, tachicardia, e la mia mente da ansia e angoscia tutto unito a pesante insonnia, che ancora oggi ogni tanto mi chiama e si fa sentire. È stato un periodo (e ancora lo è ora in parte) molto difficile, doloroso e forte. Sicuro mi ha permesso di conoscere delle parti di me con cui non avevo mai avuto a che fare. Sicuro mi ha fatto fare degli step di crescita ed espanso la consapevolezza di me. Mi ha fatto comprendere gli stati delle persone che soffrono di disturbi di salute mentale. Da subito dopo il manifestarsi del problema ho iniziato un percorso di psicoterapia che mi ha aiutato e penso che ad oggi come il medico di base ci vorrebbe anche lo psicologo di base.

Ho iniziato anche a meditare quotidianamente, anche questo aiuta. Percepisco un grande caos nella società, sempre più sfaccettata e complessa, e questa complessità si proietta pure nel mio cervello, che a un certo punto va in tilt. Sto imparando ad ascoltarmi di più, a ritrovare un ritmo e un habitat che naturalmente l’essere umano richiede, cosa che ad oggi in certi contesti può passare per sbagliata come ad esempio il concetto di produttività costante e sempre maggiore e lo stare sempre sul pezzo. In certi contesti passa per sbagliato prendersi del tempo da dedicare al camminare nel bosco, o semplicemente stare insieme a qualcuno a parlare, condividere e/o a far niente. Siamo sempre in movimento ma non camminiamo mai, siamo tutti connessi ma spesso ci sentiamo soli…credo la vita stessa è più importante delle cose della vita. Vivere per vivere.

C’è molta elettronica nei primi 4 brani e poi c’è “Amina”, una versione della filastrocca africana made by Kassie Afò. Da dove nasce il tuo amore per la musica elettronica e per i sound africani?
Il mio amore per la musica elettronica nasce grazie a un mio compagno di conservatorio, che iniziò a portarmi nei centri sociali di Milano, dove al tempo dei miei 16 anni, era il 2006, iniziava ad essere suonata la Drum’n’Bass e la Dubstep, oltre alla classica Dancehall. Dj e impianti potenti facevano ballare facilmente. Da lì in poi la curiosità si è accesa e ho iniziato ad esplorare e approfondire. YouTube stava iniziando e riempirsi di materiale, il che ha reso molto più facile e abbondante la ricerca. Dopo aver ascoltato “Druqks” di Aphex Twin mi ricordo di aver provato sensazione extraterrene e di aver pensato “no ma non è possibile”. Da lì nacque vero e proprio amore e interesse.

Riguardo alla passione per i sound africani invece è una cosa che è arrivata dopo aver finito il conservatorio di percussioni classiche, era il 2013. Resomi conto che non era il mio mondo, dopo aver suonato per anni in orchestre e in ensemble di musica da camera, ho iniziato a seguire il vero ritmo che sentivo dentro di me, e più quello che ascoltavo si faceva caldo e movimentato, più mi emozionavo. Sempre grazie ricerche sul web sono inizialmente approdato alla musica afro latina, e ho vissuto due mesi a Cuba per conoscere e vivere la cultura oltre che ad apprendere la percussione. Sentii l’esigenza di andare sempre più alla radice di questi ritmi, conobbi dei musicisti africani nel 2015 coi quali poco dopo andai in Senegal, per immergermi nella cultura del ritmo puro, quello che mi fa tremare. Da lì in poi ho approfondito sempre di più sia grazie a maestri del continente africano, sia autonomamente sul web.

Kassie Afò

In “Kelemeti” affronti il tema della guerra per la siccità e della crisi idrica contro il consumismo di città come Dubai. C’è una soluzione al problema? Secondo te quale?
È un periodo che mi sento un po’ pessimista, una soluzione la vedo e non la vedo. Sono un po’ scoraggiato dalla velocità che ha preso l’incontrollabile rotolare della società umana verso il suo autoconsumo e la sua superficialità. Non sono un tecnico o uno scienziato, quindi non saprei dare una soluzione concreta. Sicuro che nel 2024 ormai lo sappiamo tutti che abbiamo esagerato nello sfruttare le risorse della Terra che ci servono per vivere. Gli scienziati ce l’hanno detto in tutti i modi, ma ormai è l’economia che comanda, e lo sviluppo tecnologico è inarrestabile. Si parla sempre di crescita e di necessità di crescere e la crescita intesa in questo modo implica una sempre maggiore richiesta di risorse della Terra.

La Terra comunque sta benissimo, non dobbiamo salvare il pianeta, lui sta benissimo anche senza di noi. Dobbiamo salvare l’habitat in cui viviamo insieme a tante altre specie. La soluzione attiva per me è aver fatto una canzone sul tema, dopo aver preso coscienza del problema e dopo aver modificato piccole azioni quotidiane per risparmiare un po’ di acqua. Non penso dobbiamo darla per scontata, ha un valore inestimabile, è preziosa. Se questa consapevolezza si espande per davvero, allora questa presa di coscienza può diventare l’inizio della soluzione.

Kelemeti

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