
“Tre stagioni. La vita sognata, la vita vera” è il debut EP de I Temporali, nuovo progetto alt-folk di Filippo Ghiglione. Un ritorno alle radici dopo anni passati con il moniker f o l l o w t h e r i v e r e un grande cambiamento per il cantautore ligure, con testi per la prima volta in italiano, senza dimenticare le atmosfere musicali già precedentemente esplorate.
Questo EP parla di una stanza, un piccolo posto da arredare con cura e da fare proprio per tre stagioni, sette mesi e duecento giorni. Sei piccoli passi, sei canzoni da tenere strette da qualche parte dentro al cuore, per coltivare il dolore scaturito da una separazione. Il lutto, la perdita, il disorientamento. E poi, dentro questa stanza, imparare a fare di questo dolore qualcosa di proprio, farne una parte di sé. E finalmente uscire fuori.
Il primo EP del progetto I Temporali
L’EP si compone di sei piccole canzoni seminate così, come piccoli pezzi di un puzzle, e spogliate di tutto, fatte solamente di una chitarra, qualche sovraincisione vocale e una voce, vera protagonista con la sua emotività, insieme alle parole che la accompagnano.
Ritrovare la propria voce, ritrovare sé stessi e capire che casa nostra, e quella piccola stanza, in fondo siamo noi, dovunque andiamo e dovunque andremo.
I Temporali racconta: “Sta arrivando un temporale. Una grande massa d’aria che si sposta e ne incontra un’altra. Proprio come noi esseri umani, buffi e complicati: masse d’aria che si muovono e si spostano per riempire spazi vuoti, masse che si scontrano, si caricano di elettricità e poi fanno la pioggia. Poli positivi, poli negativi. Siamo tutti temporali.”
Track by track
Tre stagioni. La vita sognata, la vita vera
I Temporali
Le canzoni di questo EP nascono appunto nell’arco di tre stagioni, dalla primavera all’autunno del 2021. In quei sette mesi ho costruito una stanza a seguito di un lutto emotivo, per seminare
queste canzoni e lasciarle germogliare, mentre al contempo arredavo con cura quel piccolo posto,
fino al momento di lasciare quella stessa stanza e tutto quello che ci avevo creato. Queste canzoni
poi nei successivi due anni sono cresciute e diventate alberi, e a un certo punto ho sentito arrivare
il momento giusto per lasciarle libere e per chiudere quindi definitivamente il cerchio che era
rimasto aperto.
La vita sognata
L’ispirazione per questa canzone nasce nell’estate del 2021, in montagna, leggendo una poesia di
Antonia Pozzi (La vita sognata, appunto), amante anche lei della montagna che spesso trascorreva del tempo in quegli stessi luoghi in Valle D’Aosta dove mi trovavo io in quel momento. Questa coincidenza di luoghi unita al significato intimo della poesia (che ho citato in parte nello special del brano) ha fatto scaturire qualcosa che nel tempo è diventato questa canzone, anche se poi l’ambientazione si è rivelata prevalentemente marittima. La “mia” vita sognata parla di un
temporale di cui ci accorgiamo solamente una volta che è già passato, e di una tempesta che si
vorrebbe affrontare, ma non si ha il coraggio di farlo e al contempo non si riesce a chiedere
all’altra persona di reggere il timone al posto tuo. Ed è proprio come quando ci si sveglia da un
sogno, ci si accorge di stare sognando solamente nel momento esatto del risveglio.
È arrivato il temporale, e siamo in due nella tempesta.
Ti prego, reggi tu il timone, così rischiamo di affondare.
Piantagioni
La scintilla iniziale di questo brano nasce dall’ascolto totalmente casuale di una canzone dei
Negazione, Lo spirito continua, che a un certo punto nel testo dice: Devi solo imparare a
conoscermi. Quella frase deve aver toccato un nervo emotivo scoperto, e si è incastrata da
qualche parte nella mia memoria. È venuta fuori insieme a tutto il resto solo qualche mese dopo,
precisamente la notte di Capodanno del 31 dicembre 2021, quando ho imbracciato la chitarra e ho lasciato fluire le parole e i concetti come in una sorta di flusso di coscienza, riflettendo sul
desiderio di capirsi davvero e di capire che direzione dare a quello che stiamo vivendo. Quando
l’ho scritta pensavo si rivolgesse direttamente a un’altra persona, per poi scoprire che in realtà
stavo davvero parlando a me stesso.
Vorrei solo imparare a conoscermi meglio.
Tratteggiare i contorni sempre a colpo sicuro.
E se unendo i puntini la matita si spezza,
Proseguire alla cieca senza avere paura mai.
Non avere paura di te
Questa canzone nasce a seguito di una seduta di terapia. Un giorno il mio terapeuta ha iniziato
l’incontro dicendomi l’incipit di una frase, ovvero “La tristezza è come il caffè macinato”. Da quella
frase abbiamo costruito tutto il percorso della seduta per arrivare a completare il resto del
concetto, a dargli corpo e motivazione. E così, partendo da questa idea che si trova come ultima
frase nel testo della canzone, ho intessuto le maglie delle parole del brano, collegando quel
concetto a una riflessione più ampia e soprattutto a una frase che avrei dovuto dire quando ne
avevo l’occasione, una sera d’estate dentro una macchina ferma in un parcheggio sotterraneo, e
che invece poi non ho detto, delegandola poi quindi a questa canzone: “non avere paura di te” e
non aver paura della solitudine.
La tristezza è caffè macinato:
Da ciò che è tritato non si torna più indietro.
Ma da un singolo chicco di puro dolore
Puoi trovare qualcosa che può essere usato.
Un piccolo posto
Questa canzone è la manifestazione di quel piccolo posto in cui mi sono rifugiato, che si è
trasformato nei mesi e negli anni ed è diventato una stanza dove custodire le cose preziose, per
sempre da qualche parte dentro di sé. L’immagine che ha fatto scaturire il tutto è stata la scodella
di fuoco, il piatto tipico di un ristorante cinese di Torino vicino piazza Statuto famoso proprio per
quella pietanza, e da lì il filo dei ricordi e della memoria emotiva ha finito per cucire insieme tutto
il resto.
Una scodella di fuoco vicino piazza Statuto
E una torta di mele accanto al Valentino.
E manda quella canzone, che poi arriva l’autunno,
Fino al _resetfestival.
Turisti
Questo brano nasce da un post di Instagram di giugno del 2021, che raccontava sostanzialmente di quando non riesci più a sentirti turista in una città in cui non vivi più o non hai mai vissuto
veramente, perché la conosci emotivamente talmente bene da considerarla casa. Da questa
condizione, che vale anche per le persone che hai amato e che hai chiamato casa, non si può più
tornare indietro del tutto, e quindi in certi casi non sarà più possibile sentirsi turisti di qualcosa o
di qualcuno.
E lo sai, con le suole sull’asfalto che ti guidano sempre,
Così tornare indietro non è più possibile
E puoi chiamarmi casa come una città.
La vita vera
Così come La vita sognata apre l’EP ed è contenuta nel titolo stesso del disco, La vita vera è il suo
corrispettivo che chiude l’EP e simbolicamente anche il cerchio di cui parlavo prima, ecco perché il
rimando nel titolo. Allo stesso modo, si tratta di un parallelismo tra due condizioni differenti, una
iniziale, quando la costruzione del piccolo posto era appena cominciata e l’emozione principale era quella legata al sogno e alla speranza, e una finale, quando lasciandosi alle spalle quel piccolo posto capisci di iniziare a vivere davvero.
Volevo che questa canzone fosse un grande riassunto non solo di tutti i brani precedenti e quindi
di tutto quello che era successo dentro quel piccolo posto, ma che toccasse anche quello che era
successo prima, contenendo una riflessione sul dolore e sul suo utilizzo. Non riuscivo a legare
insieme tutto questo dal punto di vista musicale, ma poi è arrivato l’ascolto di Un mazzo di chiavi,
un ombrello, lì in mezzo di Emma Nolde e Generic Animal che ha in qualche modo dato il via al
fluire della musica, prendendo ispirazione dal movimento musicale del ritornello.
Amore mio non ti preoccupare,
Vivere è un razzo da far partire.
Il dolore nel serbatoio è combustibile da utilizzare
E poi abbandonare.
