Tobjah ci mostra “La Via Di Un Pellegrino”: Track by Track

Tobjah

Dopo quattro anni dal primo album e nel mezzo dell’attività costante con i C+C=Maxigross, torna il progetto solista di Tobia Poltronieri con un nuovo capitolo già anticipato dal singolo “Nuova Stagione”. “La Via Di Un Pellegrino” è il nuovo album di Tobjah che segue il precedente “Casa Finalmente” del 2018. 

“Questo disco nasce alla Fine del Mondo allora conosciuto quando, avendo perso ogni certezza, non mi era rimasta altra possibilità che inventarmi un Mondo Nuovo. Scorrazzavo tutto il giorno per le vie di una città deserta, dimentico della mia esistenza precedente, facendo un mestiere per me inedito (il corriere in bici) che nulla c’entrava con ciò che avevo fatto prima d’ora. La sera, esausto, tornavo nella mia casa studio, vuota e silenziosa come non mai. Prima di addormentarmi, leggendo Moby Dick, il mio letto diventava la punta della baleniera Pequod, che attraversava un mondo che andava alla deriva. A pensarci adesso sento ancora la brezza dell’oceano che mi ha salvato, portandomi ogni notte così lontano da dove mi trovavo.

La via di un pellegrino è un disco nato mentre il presente si sgretolava e il futuro non esisteva più. Ho cercato di creare qualcosa che non avevo mai fatto prima, perché non avevo più nulla da perdere. Non è un album concepito per essere portato in giro dal vivo perché quando l’ho realizzato i concerti erano solo che miraggi lontani. Così, invece che cominciare dalla mia solita chitarra, sin dal principio mi sono buttato su campionamenti polverosi, batterie elettroniche, bassi profondi e percussioni di lidi lontani, lasciandoli librare con echi a nastro e riverberi a molla che liquefacevano e rendevano sempre più alieni quei suoni embrionali. All’improvviso un ritmo nuovo ha risvegliato il mio Spirito, la strada si è illuminata e ho cominciato a danzare.


Questo disco è dedicato all’eterno amico, fratello cosmico, zio Miles Cooper Seaton (1979 – ∞)”

Track by Track

Senso
Improvvisamente un bagliore lontano ridesta per un infinito istante la coscienza rimasta in lui. È meglio dormire, sognare per la propria intera esistenza, quando tutto è ovattato, davanti a te, ma indistinto e inafferrabile, o è preferibile l’illusione di poter lasciare le candide lenzuola e appoggiare il palmo dei piedi sulla terra fredda e spigolosa?

Chi l’avrebbe detto mai?
Perciò ti chiedo: “Metti a fianco ad una cellula una stella. Che cosa vedi? Chi contiene cosa?” La lunga linea dell’orizzonte che ho di fronte mi ricorda quanto mi sento perso galleggiando nel mare profondo. Eppure è così dolce andare lenti alla deriva.

Nuova stagione
Passo dopo passo gli alberi da verdi che erano cominciano a perdere foglie, e una frase risuona nella mia testa: «E il movimento di questo cerchio sarebbe stato perfetto da sempre, non fosse per l’umanità, ribelle alla trasformazione, che cercava penosamente di vivere per conto proprio nel piccolo tumore canceroso che essa formava sull’universo». René Daumal, La gran bevuta (1938)

Suono (L’eterna ricerca del…)
Un uccello canta su un albero, seguendo il ritmo della pioggia. Non ho mai preso parte ad un concerto più bello.

Ricordati di te (Chi assaggia sa)
«Il gioco è l’arte dei bambini, l’arte è il gioco degli adulti. La felicità non nasce dal sogno, ma dalla possibilità di inventare la vita nella dimensione poetica. Ci sono giochi che non portano a nulla, sono i giochi senza regole, fantasticherie. Il gioco, come l’arte, ha regole severe e una macchina che porta lontano». Maria Lai (1919 – 2013)

Stella
Ormai è buio, mi sono accampato vicino alla strada. Non riesco a dormire, metto la testa fuori e mi guardo attorno.

Tobjah

La poetica del diverso
Arrivato in paese, affamato e stanco entrai nel primo bar. Una musica di danze lontane risuonava dall’altoparlante. Chiesi alla proprietaria chi cantasse. Mi indicò un signore che pranzava al tavolo con delle persone. Mi avvicinai e mi complimentai per la sua musica. Si alzò per stringermi la mano e fece un inchino. Mi disse che in quei giorni avrebbe suonato in città.

Sogno #1388
Mi lasciai alle spalle la stazione e cercai un riparo dove potermi stendere. Ricordo raramente i miei sogni. Ho provato a ripetermi ogni sera, prima di coricarmi, di non scordarli. Di appuntare appena sveglio su un quaderno qualche parola che si possa aggrappare ad una parte così oscura della nostra mente.

Incubo
Ripenso a mio nonno che, tra le tante cose, era anche un poeta. La poesia per gli antichi greci, da cui proviene il verbo ποιεῖν (poièin) che significa appunto fare, creare, aveva un significato ben più profondo di quello che abbiamo appreso noi bambini, troppo occupati ad imparare a memoria versi di cui non coglievamo il significato. La poesia è creazione.
Il testo di Incubo è tratto da Il silenzio ammaestrato (1977) di Tazio Poltronieri

Pensare al cominciamento
Camminando nel nulla la mia mente è sgombra. Posso osservare i “miei” pensieri da lontano per capire di cosa ho veramente bisogno, e così muovermi senza inutili zavorre. Attorno è il silenzio.

La via di un pellegrino
Fa freddo, l’acqua è penetrata nelle scarpe da un paio di ore. Ne mancano almeno altrettante prima di trovare riparo. Se questa non fosse una corsa a perdifiato mi sarei senz’altro già congelato. Ripenso a come sono finito a vagare all’impazzata tutto il giorno, sotto la neve o il sole accecante. Sorrido. Ogni certezza, ogni sogno è svanito. Ora non ho più paura di saltare perché, se so cosa lascio, non so cosa troverò.

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