FOUR YEAR STRONG: la recensione di Some Of You Will Like This, Some Of You Won’t (2017)

NOME

Four Year Strong

GENERE

Rock/Hardcore/Punk

ESORDIO

It’s Our Time (2005)

ULTIMO ALBUM

Some Of You Will Like This, Some Of You Won’t (2017)

COPERTINA

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ELENCO CANZONI

It Must really Suck To be Four Year Strong Right Now
Heroes get Rememberes, Legends Never Dies
Go Down In History
We All Float Here
Nice To Know
Who Cares
Let me Down Again
Stuck In The Middle
Abandon Ship Or Abandon All Hope
Your Ego is Writing Checks
Your Body Can’t Cash
This Summer Session
For Our Fathers

VIDEO/SINGOLI DALL’ALBUM


PUNTO DI VISTA

L’influenza dei Blink 182, fin dalle prime note della traccia più riflessiva It Must Really Suck To Be Four Years Strong Right Now, è ben intuibile nella musica dei Four Year Strong, sebbene questo incipit slegato dal contesto e dal sound lievemente indie (quasi alla Fleet Foxes / Band Of Horses nel cantato) regali una vaga rimembranza di Once Upon A Time: The Chronicles Of Life And Death dei Good Charlotte, tema anch’esso rimasto incompiuto e avulso dal resto dell’album, ma esplicativo della sua morale, se una ce ne dev’essere.

Seguendo questa chiave, i Four Years Strong possono facilmente essere catalogati come un prolungamento del lavoro dei Blink, quasi una versione più intima e personale dei Box Car Racer, band parallela dei sopra menzionati di primi anni 2000 che ha infelicemente avuto brevissima vita. La differenza, nell’album più concettuale e melodico della band, risiede proprio nell’intimità delle tracce e dell’impiego di mezzi acustici per sfilarsi di dosso quella scorza post punk in completo stile Rancid / Sum 41, e dedicarsi a ponderazioni più mature per un gruppo musicale che ormai compie 16 anni. Ponderazioni che purtroppo non colgono particolarmente nel segno, rimanendo sospesi circa una vaghezza interpretativa che qualcosa di sicuro aggiunge ai brani originali, ma poco alla fruizione dell’ascoltatore.

Ecco che allora arrivano puntuali la rivisitazione in chiave “country folk” di We All Float Down Here, quella in timida chiave swing/bluegrass di Stuck In The Middle, quella “quasi” in stile Cake di Who Cares e brani effettivamente inediti come Let Me Down Again.

A livello critico, quello che dovrebbe essere un tentativo di ripresa acustica non brilla particolarmente di luce propria, facendo sopravvenire alla lunga una certa monotonia d’insieme. Rare sono le distinzioni tra un brano e l’altro, e in alcuni casi addirittura assenti (This Summer Session è praticamente copia-incollata dall’album It’s Our Time). Di certo la qualità esecutiva non manca, ma seguendo il parallelo con i Good Charlotte, avremmo voluto che quella ventata d’aria fresca portata da una reale prima reinterpretazione del loro brano di punta, si fosse avvertita anche nel resto delle tracce. Un’occasione mancata, ma non per questo del tutto insufficiente. Non a caso, “some of us will like this, some of us won’t”. Noi, ci inseriamo nel mezzo.

Dove sta scritto che maturo significa migliore?

VOTO: 6+

Gianluca Ricotta

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