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Escape To The Roof, l’uomo e la sua essenza nel primo disco omonimo

Cover "Escape to the Roof"

Gli Escape To The Roof pubblicano il primo disco omonimo che vuole raccontare, in una modalità narrativa personale, il loro modo di intendere la musica e la sua complessità, per riscoprirne il valore profondo. L’album tratta i temi più disparati, ma tutti riconducono all’uomo e alla sua molteplice esistenza: ci sono il profeta, il vagabondo, il mago, il rivoluzionario, il pezzo da novanta e il suo torturatore, l’uomo nero, e molti altri personaggi.

Dieci brani in cui riecheggiano le sonorità degli anni d’oro del rock che seguono un piano narrativo unico, che lo stesso G.C.Wells (voice, guitars) leader della band, formata da Jann Ritzkopf VI, (guitars, soundscapes), Zikiki Jim (bass) e Canemorto (drums), non ha voluto svelare, perché chiarisce: “il filo conduttore è volutamente flebile, cifra stilistica alla quale sono molto affezionato, fin da adolescente sono stato oltremodo attratto dalla poetica ermetica, criptica per raffinatezza. Concetto bellissimo è quello per cui il fruitore, che sia ascoltatore o lettore, deve fare la sua parte per incontrare il poeta/autore, il quale semina tracce da seguire, attraverso la scelta di parole, pause, suoni, dinamiche, ecc., affinché si abbia una profonda e completa compenetrazione emozionale della poetica stessa. Un quadro tridimensionale in cui il gesto alle volte è solo accennato: un suono, un percorso armonico, una parola, tutti segni semantici portatori di un’emotività calcolata a seminare le tracce da seguire”.

L’Inglese Come Lingua della Tradizione Rock

Anche la scelta della lingua per gli Escape To The Roof non è casuale: “l’inglese è la lingua della tradizione rock, e ovviamente ci permette anche di chiudere un cerchio in questo senso, ma la tentazione di giocare anche con questo elemento è stata irresistibile. Una lingua è sempre materia in divenire, non è mai una codifica fissata per sempre, è in continua mutazione sia nel tempo sia nello spazio. La lingua inglese è la lingua della comunicazione globale, e la si parla e la si frequenta con le tendenze sintattiche e idiomatiche tipiche della lingua madre di ognuno nel mondo. Io ho pescato a piene mani da questa tendenza, che è al limite di un utilizzo scorretto della lingua, mi rendo conto, ma da sempre la ricerca è soprattutto indagine su ciò che può essere sperimentato, e si pone come primo obiettivo di trovare il limite “invalicabile”, per giocarci, per ironizzarci sopra, per dissacrare o per consacrare, utilizzando meccanismi linguistici presi in prestito da altre lingue, compreso l’italiano, con buona pace dei puristi.”

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