BORN IN THE USA: com’è nato il capolavoro di Bruce Springsteen (1 di 2)

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Il 4 giugno 1984 usciva Born In The USA, album della consacrazione di Bruce Springsteen. Con 30 milioni di copie vendute in tutto il mondo è il più grande successo commerciale del Boss.

Questo è il settimo album in studio dell’artista americano, dopo l’introverso Nebraska del 1982 senza la E Street Band, compie con questo disco un cambiamento a 180° gradi.
Sette sono i singoli estratti, tutti entrati nella Top 10 di Billboard, in ordine cronologico: Dancing in the Dark, Cover Me, Born in the U.S.A., I’m on Fire, Glory Days, I’m Goin’ Down e My Hometown.

In Italia l’album è il secondo per numero di vendite con 1 milione e 400 mila copie, dietro solo a True Blue di Madonna.

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«Penso che ciò che sta succedendo ora è che la gente ha voglia di dimenticare. C’è stato il Vietnam, c’è stato il Watergate, c’è stato l’Iran — siamo stati sconfitti, ci hanno fatto pressione e per finire siamo stati umiliati. Penso che la gente abbia bisogno di provare sentimenti positivi nei confronti del loro Paese. Ciò che sta accadendo ora, a mio parere, è che questo bisogno — che è una cosa bella — viene manipolato e sfruttato. Vedi la campagna elettorale di Reagan in TV: “It’s morning in America”, è mattina in America. E ti viene da dire, be’, è mattina a Pittsburgh. Non è mattina sulla 125esima Strada a New York; è mezzanotte, ed è come se ci fosse una luna nefasta in alto nel cielo. Ecco perché quando Reagan ha fatto il mio nome in New Jersey l’ho percepita come un’altra manipolazione, e ho sentito il dovere di dissociarmi dalle parole gentili del presidente»

 

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